Ieri a Milano c’è stato un acquazzone molto violento. La rapidità con cui è scoppiato ha colto tutti di sorpresa ma non era imprevisto: è da qualche giorno che i media ci informano che questa è “la settimanadei flash storm” e ci spiegano che si tratta di temporali improvvisi e di breve durata.
Ormai è diventato un classico di luglio: da almeno un paio di anni, ma solo per una settimana, sentiamo parlare di flash storm. Si tratta però degli stessi temporaloni estivi di sempre.
La preferenza dei media e di alcuni servizi meteo per questa locuzione inglese, tra l’altro raramente usata dai madrelingua, non è giustificata. Non si tratta infatti di un termine specialistico usato in ambito meteorologico ma di un’espressione generica che equivale a “temporale lampo”: in inglese flash comunica rapidità fulminea o durata brevissima, proprio come lampo in italiano.
In uno dei grandi magazzini Marks & Spencer a Londra una mia amica ha notato il nomepseudoitaliano di una linea di abbigliamento, per una Speziale. Chissà se riesce a ispirare raffinatezza ed eleganza anche agli inglesi che parlano italiano o se fa lo stesso effetto, negativo, che fa a me l’uso disinvolto dell’inglese (cfr. un look ancora più fashion)?
Mi vengono in mente anche l’auto Sorento, che in Italia forse avrebbe più successo se il nome non sembrasse un errore di ortografia, i nomi delle varietà di caffè Nespresso, come Volluto, Livanto, Finezzo, Fortissio, Vivalto, Linizio, Ciocattino, Vanilio, e quelli di alcune marche del supermercato LIDL, Crestamio, Linessa, Lovilio, Salumeo, Milbona, Certossa, Italiamo, Frotto, Favorina, Nostia ecc., segnalate nei commenti a Pastachetti, Soffatelli, gelato Boccalone Prosciutto. Non li trovo accattivanti, anzi, mi sembrano quasi nomi di prodotti taroccati, ma sicuramente in altre lingue suonano bene proprio perché sono italianeggianti.
Aggiornamento dicembre 2016 – In Italian sounding e inglese farlocco ho descritto lo pseudoanglicismo usato solo in Italia per descrivere nomi, loghi o slogan di prodotti riconducibili all’Italia ma che non sono autentici.
Aggiornamento marzo 2018 – Su Viaggiare Leggeri gli imperdibili modelli di biciclette di Aleoca, marchio di Singapore che ha come slogan Le Italiano Concetto. Anche se non si tratta di nomi italianeggianti ma in gran parte di vere parole italiane, è l’abbinamento nome-prodotto che risulta del tutto incongruo: vi fareste vedere in giro su una Ossario, Padella, Scorfano o Setola, tanto per fare qualche esempio?
In il patio ≠ el patio ≠ the patio ho mostrato come nel passaggio da una lingua a un’altra una stessa parola possa subire cambiamenti di significato e designare concetti simili ma non equivalenti. I sostantivi bar, barman e barista sono un altro esempio.
In Inglese, un bar è un locale dove si servono bevande alcooliche; la parola è stata adottata in italiano alla fine dell’800 per designare un esercizio pubblico dove invece si consumano bevandedi ogni genere o cibi leggeri.
In Italia un buon caffè si beve al bar, mentre nei paesi di lingua inglese si va a bere un caffè in un café,coffee shop o coffee house, ma non in un generico bar*.
Universitaly è “il nuovo portale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, creato appositamente per accompagnare gli studenti nel loro percorso di studi”.
La pagina Dove Studiare consente di trovare un’università scegliendo la città direttamente su una carta dell’Italia (mappa nel sito) oppure selezionando regione e provincia da due elenchi a discesa in un modulo tradizionale.
Ho trovato davvero insolita la sequenza in cui sono elencate le regioni: non nel tipico ordine alfabetico, come negli altri siti governativi, ma nell’ordine “geografico” in cui si studiano le regioni d’Italia alla scuola elementare e cioè da ovest a est, partendo dal Piemonte al primo posto per scendere verso sud fino alla Sicilia e poi risalire e chiudere l’elenco con la Sardegna all’ultimo posto. La scelta appare ancora più curiosa perché le province / città sono invece elencate nel classico ordine alfabetico:
Aggiornamento gennaio 2015 – Ormai è un classico: per il terzo anno consecutivo nei media è riapparso il nome Big Snow, una conferma dell’infatuazione per anglicismi e inglese farlocco. Ma c’è anche una novità: la bomba di neve.
A un giornale radio RAI la notizia dell’allerta meteo dell’11 febbraio 2013 è stata annunciata con le parole “the big snow is coming, ovvero la grande nevicata sta arrivando”. La scelta di un titolo in inglese seguito da traduzione per descrivere un evento meteo esclusivamente italiano mi è subito parsa assurda e solo più tardi, leggendo altre notizie, ho capito che Big Snow (senza articolo determinativo!) era il nome con cui un sito di previsioni del tempo aveva ribattezzato la perturbazione.
Il nome è piaciuto parecchio ai media italiani che confermano così la loro anglomania. Se invece fossero degli anglofili, non privilegerebbero una scelta così banale e poco idiomatica come Big Snow (funziona solo come hashtag, altrimenti è più corretto heavy snowfall o snowstorm) ma cercherebbero di usare la lingua in modo un po’ più creativo, proprio come si fa in inglese: ho descritto Snowzilla, snowpocalypse e altri nomi fantasiosi per nevicate abbondanti in #snOMG!
Winter is (s)now è la pubblicità di una località sciistica italiana apparsa in un quotidiano italiano.
Ormai siamo abituati a vedere tagline in inglese, specialmente associate ad aziende che operano globalmente, però questa headline mi sembra un gioco di parole pensato soprattutto per chi mastica l’inglese come seconda lingua.
Funziona perché usa parole dell’inglese di base conosciute dalla maggioranza dei lettori, però è efficace solo graficamente perché nella pronuncia, che prevale sulla scrittura nell’interpretazione di un madrelingua, snow e now non condividono la rima.
La frase winter is now farebbe inorridire un integralista della grammatica, ma per il pubblico italiano il messaggio in inglese farlocco è chiaro: winter + snow + now = è ora di andare a sciare. E immagino non sia del tutto casuale un riferimento implicito alla tagline di una pubblicità italiana (e relativa protagonista) che imperversava qualche anno fa, Life is now. .
Sicuramente non sono l’unica ad avere notato l’aumento massiccio dell’anglicismo endorsement nei media italiani a proposito di elezioni americane e di primarie italiane.
In ingleseendorsement descrive una dichiarazione pubblica di supporto o di approvazione a favore di qualcuno o di qualcosa: una persona, un progetto, una pubblicazione, un sito, un prodotto (ad es. da parte di un personaggio famoso in pubblicità) ecc.
Mi sembra che in italianoendorsement venga invece usato con un significato più ristretto, limitato a un contesto elettorale, in prossimità delle elezioni o di rinnovo di vertici di partiti, per indicare la dichiarazione esplicita di appoggio a uno specifico candidato o a un partito da parte di una testata giornalistica, di un opinionista o di un politico.
Lo trovo un forestierismo superfluo: è un concetto che si può esprimere con le parole appoggio o sostegno, eventualmente qualificate da aggettivi come ufficiale, diretto, esplicito, pubblico, formale e introdotte da verbi come dichiarare, manifestare, annunciare ecc. In alcuni contesti si potrebbe usare anche dichiarazione di voto, soprattutto se non vengono dettagliate le motivazioni della propria scelta.
Rispondo con un lungo post a diversicommenti di Remo, di cui apprezzo la passione per la lingua italiana. Non condivido invece il suo allarmismo per il presunto disfacimento dell’italiano a causa del proliferare degli anglicismi.
Forestierismi insostituibili, utili e superflui
Tutte le lingue hanno sempre fatto uso di forestierismi, i cosiddetti prestiti. In italiano la distinzione classica è tra prestitidi necessità e di lusso ma Giovanni Adamo e Valeria Della Valle in Le parole del lessico italianopreferiscono invece una tripartizione:
forestierismi insostituibili, ormai radicati nell’uso, soprattutto per la loro concisione, efficacia espressiva e adeguatezza nominativa, come computer;
forestierismi utili, che ripropongono espressioni straniere alle quali i parlanti sembrano adeguarsi senza sforzo eccessivo, facilitando l’uso di formule denominative di circolazione internazionale, come email;
forestierismi superflui, che si affiancano a espressioni italiane già in uso o facilmente ricavabili e sono mossi spesso dalla volontà di ostentare consuetudine con tendenze o conoscenze linguistiche straniere, come nel caso dell’inglese ticket, molto spesso abusato in luogo di ‘biglietto’ o ‘buono’.
Cartello sulla vetrina di un negozio di Milano temporaneamente chiuso per ristrutturazione:
5 parole inglesi su 9, mi sembra un bel record!
Ho fatto la foto anche perché è da tempo che ho notato che in italiano i sostantivi inglesi fashion e glamour sono usati come aggettivi. Mi domando se sia un adattamento voluto (eccessiva lunghezza degli aggettivi fashionable e glamorous?) o un’interpretazione errata della sintassi inglese, dove alcuni sostantivi possono fungere da aggettivi confunzioneattributiva (ad es. fashion trends) ma non predicativa (evenmore fashionable e non *even more fashion).
Negli Stati Uniti non abbondano solo le virgolette ma anche le inizialimaiuscole.
Mike Pope ironizza sul loro abuso in The heartbreak of RCS (Random Capitalization Syndrome).
Tra le misteriose cause del malanno americano (Maiuscolite!) vengono annoverate l’influenza del tedesco (lingua che richiede che tutti i sostantivi siano scritti con l’iniziale maiuscola), l’ortografia della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti e quella dei libri di Winnie-the-Pooh.
Amenità a parte, le iniziali maiuscole possono diminuire la leggibilità del testo ma nell’inglese americano sono la norma per i titoli di libri e articoli, come già descritto in Tu Vuo’ Fa’ l’Americano?. Sono anche molto usate dagli sviluppatori in diverse convenzioni di scrittura (cfr. Ungheresi, cammelli e notazioni).
Per influenza dell’inglese anche in italiano si nota un abuso delle iniziali maiuscole nei nomi delle lingue, dei giorni e dei mesi, che andrebbero invece scritti con l’iniziale minuscola, come gli aggettivi che indicano provenienza da un paese o da un luogo. Sempre più diffusi anche i titoli con tutte le parole maiuscole a imitazione (scimmiottamento?) dell’uso americano.
In Italia la terminologia fa raramente notizia e quando succede le connotazioni sono spesso negative, come nel caso di una sanzione inflitta da Trenitalia a una propria dipendente per non avere usato la terminologia corretta.
La motivazione è scritta in una lettera del 31 maggio [2011] firmata dal responsabile della Divisione Frecciargento: l’aver comunicato la presenza di «un guasto deviatoio quando il manuale degli annunci (Mab) per i treni Av non prevede il termine "guasto" e ha utilizzato il termine tecnico "deviatoio" probabilmente sconosciuto ai viaggiatori. Avrebbe dovuto dire invece per "un controllo tecnico sulla linea"».
A quanto pare esistono tre manuali che regolamentano le comunicazioni ai passeggeri: 1 annunci nelle stazioni 2 annunci a bordo dei treni ad Alta velocità 3 annunci a bordo di tutti gli altri treni. La terminologia usata può variare a seconda delle circostanze e si possono notare alcune differenze tra il lessico generico dell’italiano standard e quello specifico degli annunci di Trenitalia:
Chi lavora nella localizzazione sa bene che incubo possano essere i cosiddetti noun stack, i sostantivi “accatastati” l’uno sull’altro alquanto tipici del linguaggio informatico. Reduced minimum OS partition space available requirement è uno degli esempi di Mike Pope, redattore tecnico di Microsoft, che ne parla in Fun (or not) with noun stacks (via Language Log).
Come dicevo a proposito di standard toolbar color e default data validation task, i termini o le stringhe di questo tipo (sintagmi nominali complessi per i linguisti) sono spesso difficili da rendere correttamente in una lingua con ordine delle parole diverso dall’inglese perché si prestano a varie interpretazioni. Per l’italiano c’è anche il problema di dover rendere esplicito il numero dei sostantivi usati con funzione attributiva e, se il noun stack contiene anche aggettivi, di identificare senza ambiguità il sostantivo a cui si riferiscono per concordare eventualmente il genere.
Il secondo suggerimento di lettura è quindi The Little Sweet Café, che discute l’ordine degli aggettivi inglesi in funzione attributiva riportando una gerarchia più dettagliata di quelle che di solito si trovano nelle grammatiche:
evaluation | size | shape | condition | humanpropensity | age | color | origin | material | attributive noun
Questa sequenza è stata compilata da Neal Whitman in Ordering Your Adjectives, un intervento abbastanza lungo ma che ho trovato molto interessante perché chiarisce i meccanismi che regolano l’ordine degli aggettivi in inglese.
Via Language Log, un video che gioca con la polisemia di alcune parole inglesi molto comuni, che possono essere verbi, sostantivi e anche aggettivi. Non ho capito immediatamente come funzionasse, poi è scattato il meccanismo per associare le parole giuste a ciascuna immagine e mi è piaciuto davvero molto.
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Il video, descritto come un esempio di “visual wordplay”, è stato realizzato per il programma Words di Radiolab da Daniel Mercadante e Will Hoffman. Qui sotto la chiave di lettura. ↓ ↓ ↓ Le parole rappresentate sono: play, blow, break (e brake), split, run, fly, fall, light, space e il passaggio tra l’una e l’altra non è casuale, ad es. run ➝ run away ➝ runway ➝ fly.
Ci sono alcune parole con significati specifici dell’inglese americano: la più nota è fall, l’autunno, ma c’è anche run, la smagliatura delle calze che è invece ladder in inglese britannico, fly vs flies per la patta dei pantaloni, l’espressione give/flip someone the bird per “mostrare il dito medio”, ecc.
Ho letto in Schott’s Vocab che la Starbucks, la catena di americana di caffè, sta testando un nuovo formato per tè e caffè freddi che corrisponde a 31 once liquide o un quarto di gallone (americano), ovvero circa 900 ml.
Il nuovo formato si chiama trenta, nella tradizione dei nomi italiani o pseudoitaliani amati da Starbucks, come il formato venti, descritto efficacemente qui da Riccardo come un’unità di misura per il caffè del tutto sconosciuta in Italia (direi che la traduzione migliore in italiano potrebbe essere “secchio”, o magari anche “barile”).
È buffo come parole della propria lingua possano perdere il loro significato se adottate in altre lingue, diventando pseudoprestiti, e si debba quindi imparare a reinterpretarle in contesto:
formato Starbucks*
dimensioni
in once
in ml
tall
small
12 oz
circa 350 ml
grande
medium
16 oz
circa 450 ml
venti
large
20 oz per bevande calde, 24 oz per bevande fredde
circa 600 ml circa 700 ml
trenta
XL
31 oz
circa 900 ml
Considerazioni linguistiche a parte, non credo finirò mai di stupirmi delle dimensioni giganti che quasi tutte le cose sembrano avere negli Stati Uniti (ad es. il latte venduto in taniche). Come si fa a ingurgitare tali quantitativi di caffè o tè, considerato che vanno bevuti caldi o freddi e quindi, nonostante i bicchieroni vagamente isolanti, vanno consumati in breve tempo?
Un altro pseudoprestito che dal lessico di Starbucks si è diffuso rapidamente in quello comune è latte, un beverone caldo che prende il nome dal nostro caffelatte ma è più simile a un latte macchiato. Starbucks ha coniato anche lo pseudoitalianismo frappuccino, una bevanda fredda a base di caffè e altri ingredienti.
Aggiornamento 18 gennaio 2011 – Infografica di National Post per illustrare le dimensioni del nuovo formato, in vendita da oggi in alcuni stati americani (via Corriere della Sera):
Nelle notizie sulla manovra di bilancio per il 2020, concordata il 15 ottobre 2019, è ricorrente l’anglicismo cashless, a quanto pare un concetto chiave per le strategie di governo. Si notano però alcune vistose incongruenze nella comunicazione.
Stando ai media, Conte ha annunciato che “nasce Italia Cashless”, il Documento programmatico di bilancio 2020 descrive invece un Piano per la rivoluzione Cashless e nel comunicato stampa del Consiglio dei Ministri si trova invece Piano Cashless: