Cartello sulla vetrina di un negozio di Milano temporaneamente chiuso per ristrutturazione:
5 parole inglesi su 9, mi sembra un bel record!
Ho fatto la foto anche perché è da tempo che ho notato che in italiano i sostantivi inglesi fashion e glamour sono usati come aggettivi. Mi domando se sia un adattamento voluto (eccessiva lunghezza degli aggettivi fashionable e glamorous?) o un’interpretazione errata della sintassi inglese, dove alcuni sostantivi possono fungere da aggettivi confunzioneattributiva (ad es. fashion trends) ma non predicativa (evenmore fashionable e non *even more fashion).
Negli Stati Uniti non abbondano solo le virgolette ma anche le inizialimaiuscole.
Mike Pope ironizza sul loro abuso in The heartbreak of RCS (Random Capitalization Syndrome).
Tra le misteriose cause del malanno americano (Maiuscolite!) vengono annoverate l’influenza del tedesco (lingua che richiede che tutti i sostantivi siano scritti con l’iniziale maiuscola), l’ortografia della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti e quella dei libri di Winnie-the-Pooh.
Amenità a parte, le iniziali maiuscole possono diminuire la leggibilità del testo ma nell’inglese americano sono la norma per i titoli di libri e articoli, come già descritto in Tu Vuo’ Fa’ l’Americano?. Sono anche molto usate dagli sviluppatori in diverse convenzioni di scrittura (cfr. Ungheresi, cammelli e notazioni).
Per influenza dell’inglese anche in italiano si nota un abuso delle iniziali maiuscole nei nomi delle lingue, dei giorni e dei mesi, che andrebbero invece scritti con l’iniziale minuscola, come gli aggettivi che indicano provenienza da un paese o da un luogo. Sempre più diffusi anche i titoli con tutte le parole maiuscole a imitazione (scimmiottamento?) dell’uso americano.
In Italia la terminologia fa raramente notizia e quando succede le connotazioni sono spesso negative, come nel caso di una sanzione inflitta da Trenitalia a una propria dipendente per non avere usato la terminologia corretta.
La motivazione è scritta in una lettera del 31 maggio [2011] firmata dal responsabile della Divisione Frecciargento: l’aver comunicato la presenza di «un guasto deviatoio quando il manuale degli annunci (Mab) per i treni Av non prevede il termine "guasto" e ha utilizzato il termine tecnico "deviatoio" probabilmente sconosciuto ai viaggiatori. Avrebbe dovuto dire invece per "un controllo tecnico sulla linea"».
A quanto pare esistono tre manuali che regolamentano le comunicazioni ai passeggeri: 1 annunci nelle stazioni 2 annunci a bordo dei treni ad Alta velocità 3 annunci a bordo di tutti gli altri treni. La terminologia usata può variare a seconda delle circostanze e si possono notare alcune differenze tra il lessico generico dell’italiano standard e quello specifico degli annunci di Trenitalia:
Chi lavora nella localizzazione sa bene che incubo possano essere i cosiddetti noun stack, i sostantivi “accatastati” l’uno sull’altro alquanto tipici del linguaggio informatico. Reduced minimum OS partition space available requirement è uno degli esempi di Mike Pope, redattore tecnico di Microsoft, che ne parla in Fun (or not) with noun stacks (via Language Log).
Come dicevo a proposito di standard toolbar color e default data validation task, i termini o le stringhe di questo tipo (sintagmi nominali complessi per i linguisti) sono spesso difficili da rendere correttamente in una lingua con ordine delle parole diverso dall’inglese perché si prestano a varie interpretazioni. Per l’italiano c’è anche il problema di dover rendere esplicito il numero dei sostantivi usati con funzione attributiva e, se il noun stack contiene anche aggettivi, di identificare senza ambiguità il sostantivo a cui si riferiscono per concordare eventualmente il genere.
Il secondo suggerimento di lettura è quindi The Little Sweet Café, che discute l’ordine degli aggettivi inglesi in funzione attributiva riportando una gerarchia più dettagliata di quelle che di solito si trovano nelle grammatiche:
evaluation | size | shape | condition | humanpropensity | age | color | origin | material | attributive noun
Questa sequenza è stata compilata da Neal Whitman in Ordering Your Adjectives, un intervento abbastanza lungo ma che ho trovato molto interessante perché chiarisce i meccanismi che regolano l’ordine degli aggettivi in inglese.
Via Language Log, un video che gioca con la polisemia di alcune parole inglesi molto comuni, che possono essere verbi, sostantivi e anche aggettivi. Non ho capito immediatamente come funzionasse, poi è scattato il meccanismo per associare le parole giuste a ciascuna immagine e mi è piaciuto davvero molto.
Il video, descritto come un esempio di “visual wordplay”, è stato realizzato per il programma Words di Radiolab da Daniel Mercadante e Will Hoffman. Qui sotto la chiave di lettura. ↓ ↓ ↓ Le parole rappresentate sono: play, blow, break (e brake), split, run, fly, fall, light, space e il passaggio tra l’una e l’altra non è casuale, ad es. run ➝ run away ➝ runway ➝ fly.
Ci sono alcune parole con significati specifici dell’inglese americano: la più nota è fall, l’autunno, ma c’è anche run, la smagliatura delle calze che è invece ladder in inglese britannico, fly vs flies per la patta dei pantaloni, l’espressione give/flip someone the bird per “mostrare il dito medio”, ecc.
Ho letto in Schott’s Vocab che la Starbucks, la catena di americana di caffè, sta testando un nuovo formato per tè e caffè freddi che corrisponde a 31 once liquide o un quarto di gallone (americano), ovvero circa 900 ml.
Il nuovo formato si chiama trenta, nella tradizione dei nomi italiani o pseudoitaliani amati da Starbucks, come il formato venti, descritto efficacemente qui da Riccardo come un’unità di misura per il caffè del tutto sconosciuta in Italia (direi che la traduzione migliore in italiano potrebbe essere “secchio”, o magari anche “barile”).
È buffo come parole della propria lingua possano perdere il loro significato se adottate in altre lingue, diventando pseudoprestiti, e si debba quindi imparare a reinterpretarle in contesto:
formato Starbucks*
dimensioni
in once
in ml
tall
small
12 oz
circa 350 ml
grande
medium
16 oz
circa 450 ml
venti
large
20 oz per bevande calde, 24 oz per bevande fredde
circa 600 ml circa 700 ml
trenta
XL
31 oz
circa 900 ml
Considerazioni linguistiche a parte, non credo finirò mai di stupirmi delle dimensioni giganti che quasi tutte le cose sembrano avere negli Stati Uniti (ad es. il latte venduto in taniche). Come si fa a ingurgitare tali quantitativi di caffè o tè, considerato che vanno bevuti caldi o freddi e quindi, nonostante i bicchieroni vagamente isolanti, vanno consumati in breve tempo?
Un altro pseudoprestito che dal lessico di Starbucks si è diffuso rapidamente in quello comune è latte, un beverone caldo che prende il nome dal nostro caffelatte ma è più simile a un latte macchiato. Starbucks ha coniato anche lo pseudoitalianismo frappuccino, una bevanda fredda a base di caffè e altri ingredienti.
Aggiornamento 18 gennaio 2011 – Infografica di National Post per illustrare le dimensioni del nuovo formato, in vendita da oggi in alcuni stati americani (via Corriere della Sera):
Messaggio all’interno dell’intimo di un noto marchio sportivo svizzero:
Al primo impatto avevo letto distrattamente beware of what you wear, come se fosse un monito a fare attenzione a indossare l’indumento perché potenzialmente pericoloso (cfr. beware of the dog, attenti al cane), e l’avevo trovato un messaggio inquietante.
La formulazione reale, be aware of what you wear, invita invece ad avere consapevolezza di cosa si indossa e segnala che questo è un prodotto ecosostenibile.
Apprezzo il gioco di parole, in uso da anni anche in altri contesti, ma ho qualche perplessità sulla sua effettiva efficacia come slogan su un prodotto destinato a un mercato internazionale, proprio per il potenziale rischio di lettura erronea (ho mostrato la foto ad altre persone, e non sono l’unica che sul primo momento ha preso fischi per fiaschi!).
Li ho riportati perché è un esempio vistoso della scarsa attenzione dei media alla terminologia istituzionale: nelle notizie la parola usata per identificare la quota richiesta ai turisti per visitare Venezia è ticket, che però non appare mai nelle comunicazioni ufficiali del Comune di Venezia e nel sito per i pagamenti. Si chiama invece Contributo di Accesso (CdA):
Nelle notizie sulla manovra di bilancio per il 2020, concordata il 15 ottobre 2019, è ricorrente l’anglicismo cashless, a quanto pare un concetto chiave per le strategie di governo. Si notano però alcune vistose incongruenze nella comunicazione.
Stando ai media, Conte ha annunciato che “nasce Italia Cashless”, il Documento programmatico di bilancio 2020 descrive invece un Piano per la rivoluzione Cashless e nel comunicato stampa del Consiglio dei Ministri si trova invece Piano Cashless:
Questa vignetta dovrebbe piacere non solo a chi si trova a dover affrontare i disagi per troppa neve ma anche a chi si sente preso in giro dalle previsioni meteo catastrofiste (“meteobufale”) di fine gennaio 2019. A Milano, ad esempio, oggi erano previsti fino a 25 cm di neve e invece la spolveratina iniziale si è subito trasformata in pioggia.
Cliché invernali
In questo esempio di titolo acchiappaclic appaiono due locuzioni recenti che ormai sono classici invernali, lo sciocco pseudoanglicismo Big Snow e l’iperbolica bomba di neve:
Ebbene sì: qualche giorno fa il blog ha compiuto 10 anni!
È iniziato tutto mio malgrado, come incarico del lavoro che facevo nel marzo 2008. L’idea di diventare una blogger non mi entusiasmava e invece mi sono subito appassionata e da allora non ho più smesso: finora ho pubblicato 2045 post.
In inglese l’uso del rosa per rendere i prodotti più attraenti per le consumatrici prende il nome di pinkification(da pink, cfr. anche il verbo pinkify).
Una notiziola in tema con i post dei giorni scorsi, via Twitter.
In Friuli Venezia Giulia ieri c’era bora con raffiche oltre i 150 km/h e oggi Il Messaggero Veneto in prima pagina ha titolato Il Big Wind flagella il Friuli. Altri media hanno avuto la stessa idea.
Molti troveranno la strizzatina d’occhio a Big Snow un’idea brillante, a me invece ha ricordato il parere del linguista Francesco Sabatini sugli anglicismi superflui: “un misto di pigrizia, esibizionismo ed elitarismo”: dettagli in Ancora itanglese.
Un argomento ricorrente di questo blog sono i cosiddetti falsi amici, le coppie di parole appartenenti a lingue diverse che sono uguali o molto simili nella forma ma differenti nel significato*. Il falso amico più noto probabilmente è burro, in italiano un alimento e in spagnolo un animale.
L’elenco che segue raccoglie gli esempi di falsi amici descritti a partire da aprile 2008, sia in post specifici che come note, in particolare per la combinazione inglese-italiano. Include anche pseudoprestiti (noti anche come falsi prestiti o, nel caso specifico dell’inglese, pseudoanglicismi o falsi anglicismi), parole che hanno l’aspetto di un prestito ma che nella lingua di origine hanno un altro significato o addirittura non esistono.