Dubbi sul Grande cocomero

pumpkin patch – Peanuts
Peanuts by Charles Schultz via GoComics

Di zucche e cocomeri racconta della discussione a Il Post su come chiamare the “Great Pumpkin” nella nuova traduzione italiana delle strisce dei Peanuts e della decisione di mantenere il “Grande cocomero”  perché ormai fa parte della cultura italiana.

Non è l’unico caso di traduzione errata che, una volta entrata nelle conoscenze enciclopediche dei lettori, rende improponibile ogni alternativa: basti pensare a Big Brother, che in 1984 di Orwell sta per “fratello grande” nel senso di fratello maggiore, ma che in italiano è noto come Grande fratello, oppure anche alla traduzione errata Siate affamati, siate folli di una frase attribuita a Steve Jobs, Stay hungry, stay foolish

Il Post racconta che i primi traduttori dei Peanuts avrebbero scelto il cocomero come simbolo di Halloween perché “più familiare e mediterraneo” e perché i lettori italiani degli anni ‘60 “non avevano nessuna familiarità con l’atmosfera di quella festa e di quella notte, né con le zucche relative”.

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Un granchio tra i cetrioli

.mau. segnala una notiziola su un granchio gigante con un’apertura degli arti di oltre 3 m che per Repubblica starebbe in un acquario pieno di quasi 13 litri d’acqua! È un esempio dei Problemi di conversione (e localizzazione) di alcune notizie tradotte frettolosamente dai media, in questo caso senza considerare che il separatore delle migliaia inglese non è il punto ma la virgola, quindi 12,750 liters non sono 13 ma quasi 13000.

Cucumis sativusLa storia del granchio è anche tipica della Silly season, il nome che gli inglesi danno al periodo estivo in cui proliferano notizie insolite, frivole o al limite del credibile. Stranamente (o forse no!) in italiano non c’è una parola per questo concetto, che parecchie altre lingue europee chiamano stagione dei cetrioli (dettagli in Silly season).

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Animali di polvere

A proposito di conigli, in inglese americano i dust bunnies, “coniglietti di polvere”, sono gli accumuli di peluria che si formano sotto i letti e altri mobili (e anche nei computer!).

In italiano c’è la parola laniccio ma in alcune regioni settentrionali si preferisce dire gatti.

cat & dust bunniesAnche in America c’è chi li chiama dust kittens (gattini), mentre per altri sono dust mice (topi) o generiche dust balls.

In Gran Bretagna, invece, di solito si dice fluff. Quasi ovunque c’è la moquette e il laniccio che si forma (carpet fluff) non ha la tendenza a muoversi a ogni minimo spostamento d’aria, il che forse potrebbe spiegare perché da quelle parti non sono venute in mente metafore zoologiche. 

E voi cosa dite? Laniccio, gatti come a casa mia, o usate qualche altro regionalismo?


Aggiornamento gennaio 2019 – Agli altri nomi descritti nei commenti (gatte, gattini, mignin, mattole, pappici…) aggiungo alcuni contributi ricevuti su Twitter: lana e lanetta in Lombardia e altrove, laniccia a Roma, gomitoli in Sardegna; per la serie animali, gatti e sue varianti è usato non solo al nord, ad es. a Napoli c’è chi dice gattoni e in Calabria c’è chi usa pecorelle. In Sicilia ci sono le muffette, in un dialetto della Sardegna centrale i pitti pitti e dalle parti di Cagliari sa pinninnìa. in Alto Piemonte si dice puffia, parola in cui penso si possano rilevare elementi di fonosimbolismo: la fricativa labiodentale sorda /f/ richiama il soffio, leggerezza ma anche inconsistenza (cfr. fluff in inglese e in italiano fuffa).  

Per l’inglese americano aggiungo dust mice (topi) e dust kitties (gattini) e poi beggar’s velvet (velluto del mendicante), ghost turds (stronzi di fantasma) e house moss (muschio).

Un grosso grazie a chi ha contribuito, che ho citato in Gatti (di polvere) e altri regionalismi dove trovate esempi di piemontesismi tra cui ciapapuer (“prendipolvere”, soprammobile o altro oggetto inutile su cui si accumula la polvere).


Vignetta: Kit ‘N’ Carlyle

una patacca ≠ un patacca

Errore di interpretazione in vari media italiani e su Twitter, dove si legge che la canoista Josefa Idem avrebbe descritto Beppe Grillo come una patacca. Esempio di titolo:

esempio di notizia: Idem contro Grillo: una patacca. Il Movimento reagisce: «Josefa sirena delle fogne»

In realtà il sostantivo usato è maschile, un patacca, che in Romagna, dove vive Idem, ha significati ben precisi. Dalla voce patacca in Rumagna.com (sito non più disponibile):

Patacca, Pataca – Persona ingenua, Sfigato, Sborone (senso dispr.), Sprovveduto, Organo genitale femminile […] Lo si dice di persona che vuole vantarsi o che si dà delle arie ma che i risultati rendono ridicolo, comico, sfigato. […] Il patacca è quello che fa la figura di merda davanti alle ragazze credendo di essere un figo (Il patacca romagnolo appunto) […] 

Altri dettagli su patacca sostantivo femminile nei commenti qui sotto.


Aggiornamento agosto 2016 – Va interpretato con il significato romagnolo anche l’uso di patacca di Valentino Rossi, come nella frase A volte la linea che separa l’eroe e il patacca è molto molto sottile.
MotoGp Brno, Rossi: «Da “patacca” a eroe, ci è andata bene»
 Vedi anche: Si dice in Romagna…

il patio ≠ el patio ≠ the patio

patio cordobésIn Terminologia e comunicazione ho accennato ad alcuni fattori che possono determinare fenomeni di variazione terminologica, in particolare nel passaggio da una lingua a un’altra. Vanno inoltre considerati eventuali aspetti diafasici e diatopici.

Un esempio di variazione diatopica è la parola spagnola patio, presente in varie lingue europee ma usata per designare concetti non equivalenti.

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Mulini da olio

olive_oilDescrizione di prodotti tipici della Toscana in un libro di viaggi tradotto dall’inglese:

L’olio extravergine di oliva viene venduto fresco direttamente
al mulino

Mi è sembrata una descrizione insolita perché se si pensa all’edificio dove si frantumano e macinano le olive, in italiano viene in mente la parola frantoio. Esiste comunque anche mulino da olio, un geosinonimo meno conosciuto.

In questi casi credo sia preferibile escludere i regionalismi e optare per il lessico più frequente, per evitare che il testo susciti perplessità (“ma vendono olio o farina?”) e di riflesso le informazioni risultino meno attendibili.

Forse però qui si tratta semplicemente di una traduzione letterale. Come mulino in italiano, anche la parola inglese mill ha vari significati e può descrivere sia macchinari che macinano e/o frantumano (o macinini, ad es. coffee mill e pepper mill) che luoghi di lavorazione di vari materiali (ad es. cotton mill, textile mill, paper mill, steel mill ecc.). Il frantoio è [olive] mill.


Vedi anche Fungo e mushroom, per un altro tipo di traduzione letterale dall’inglese.

Esempi di “dialetti” inglesi

In Regionalismi e gestione della terminologia osservavo che la parola inglese dialect può rappresentare due concetti diversi: 

1 “un sistema linguistico usato in zone geograficamente limitate e in un ambito socialmente e culturalmente ristretto, divenuto secondario rispetto a un altro sistema dominante e non utilizzato in ambito ufficiale o tecnico-scientifico” [De Mauro], ovvero il significato di dialetto in italiano;
2 “una varietà linguistica associabile a un gruppo specifico di parlanti”, forse l’accezione più comune in inglese ma non condivisa in italiano.

Nell’introduzione a Top 10 Slang Narratives: From Burgess To Faulkner, una classifica di romanzi caratterizzati da varietà non standard della lingua inglese, c’è un esempio tipico del secondo significato:

Dialect can be used as a class marker, or as something that identifies your hometown, your race, or your predilection for jargon. There are standard dialects, which are those institutionally-approved ways of speaking that make us understood, but are frankly a little boring.

Un altro esempio è il termine dialect coach, lo specialista a cui si rivolgono gli attori per impadronirsi di un accento regionale o straniero diverso dal loro.

In questi contesti non c’è equivalenza dialect = dialetto e un’eventuale traduzione italiana letterale non sarebbe corretta: a seconda dei casi, si potrà scegliere tra termini alternativi come lingua, varietà linguistica, parlata, idioma, idioletto, socioletto, gergo, vernacolo, accento ecc.


Anche il “croc-ese parlato da Larry e altri coccodrilli stupidi della striscia Pearls Before Swine è un dialect:

croc-ese


Vedi anche: Numeri e accenti inglesi.

Terminologia locale: il pulsante TIRO

Al citofono: "aspetta che ti do il tiro!"Si può provare qualche momento di perplessità la prima volta che si esce dall’androne di qualche condominio di Bologna: si cerca il comando per aprire il portone ma si trova solo un pulsante con la misteriosa scritta TIRO

E invece è proprio quello il comando per aprire la porta. Il nome del pulsante è un regionalismo, la cui etimologia è spiegata in dettaglio in Wikipedia:

La fortissima sedimentazione odierna di tale parola [tiro] nelle abitudini quotidiane degli abitanti della provincia di Bologna è certamente riferibile alla presenza, universale già dalla fine del Settecento, nelle case bolognesi di una catena o una corda che comandava meccanicamente l’apertura del portone, riportata mediante apposite carrucole fino ai piani alti delle abitazioni.

Un’altra catena o corda permetteva a chi arrivava di suonare una campanella per annunciare la propria presenza e richiedere l’apertura del portone, che la servitù otteneva dando un secco e deciso tiro all’apposita corda, sbloccando la serratura a distanza.

Quando si è diffusa l’energia elettrica, l’utilizzo della parola tiro per significare comando di apertura della porta era tanto diffusa che il termine è sopravvissuto, nonostante nei pulsanti elettrici non ci fosse nulla da tirare.

Al citofono, l’espressione dare il tiro non ha quindi nulla a che fare con il fumo o sostanze stupefacenti ma semplicemente vuol dire “aprire il portone”.


Vedi anche:
♦  Si dice in Romagna… (la sportina usata anche a Bologna)
♦  Un bulbo strepitoso? (incomprensibile per non bolognesi!)


Ciaspole, ciaspe, racchette da neve… e racchettoni

"racchettoni, s.m. parola piemontese, indica uno dei passatempi preferiti di chi ha il pallino della neve."         Per dettagli e tutte le offerte visita il sito www.piemonteitalia.eu

Mi piace molto la montagna d’inverno e così non potevo non notare la bella campagna pubblicitaria della Regione Piemonte per l’inverno 2009-2010. A ogni foto di un’attività sulla neve è associata una definizione spiritosa, ad esempio:

fuoripista, s.f. in piemontese è quella strada sulla neve che ciascuno ha la libertà di tracciare a piacere con un tratto continuo, a serpentina o anche a salti.

sci, s.m. parola piemontese, caratteristica delle valli, indica la via maestra per godersi la montagna d’inverno.

racchettoni, s.m. parola piemontese, indica uno dei passatempi preferiti di chi ha il pallino della neve.

Per i dettagli e le offerte viene dato l’indirizzo www.piemonteitalia.euricerca per Se però si prova a cercare racchettoni nel sito, non si ottiene alcuna informazione. Nessun risultato neanche per ciaspole*, il nome sempre più diffuso per descrivere questa attività: nelle pagine del sito si parla solo di racchette da neve, il termine dell’italiano standard. 

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Definizioni, interferenze culturali… e purè!

La definizione è ovviamente un campo essenziale in qualsiasi database terminologico. Nelle schede terminologiche usate in ambito aziendale si preferiscono definizioni brevi che contengono solo le informazioni necessarie a identificare il concetto.

esempio di relazioni tra concetti di tipo gerarchico - fare clic sull'immagine per ingrandirlaEsistono vari tipi di definizione e nei sistemi concettuali di tipo gerarchico, tra i più comuni, in genere si usano definizioni intensionali: partendo dal concetto sovraordinato, si descrive il concetto in questione evidenziando le caratteristiche distintive che lo distinguono dai concetti coordinati (quelli che appartengono allo stesso livello e condividono tutte le caratteristiche a parte appunto quella che li differenzia).

Interferenze culturali

In alcuni casi, però, definizioni che appaiono adeguate anche in lingue diverse possono dare luogo a interpretazioni non corrette se intervengono “interferenze culturali” non immediatamente ovvie.

Immaginiamo un esempio in un contesto italiano in cui vengono documentati concetti coordinati quali “utensile da cucina usato per schiacciare e spremere l’aglio” e “utensile da cucina usato per spremere il succo dagli agrumi”. In italiano, al concetto “utensile da cucina usato per ridurre in purea patate bollite” vengono associati senza esitazioni il termine schiacciapatate e il termine passapatate come variante regionale. In inglese, la definizione corrispondente “kitchen utensil used for mashing boiled potatoes” farà pensare altrettanto facilmente a potato masher e a masher come forma abbreviata.

Ma schiacciapatate e potato masher sono equivalenti? Nella traduzione di un romanzo probabilmente sì, in un catalogo di casalinghi decisamente no:

immagine: steelpan.it  immagine: cutco.com
schiacciapatate potato masher

Alcune soluzioni pratiche

Come ovviare? In un’ipotetica scheda terminologica, in questo caso potrebbe non essere necessario intervenire sulla definizione, che è concisa e svolge il compito di distinguere il concetto da quelli correlati in quel sistema gerarchico, ma la si può completare con una nota in un campo apposito (ad es. “consta di un recipiente cilindrico o d’altra forma con fondo bucherellato, dotato di un manico fisso e di un altro manico snodabile a leva, opportunamente imperniato per esercitare la necessaria pressione sulle patate mediante una piastra metallica a disco”)* oppure si può aggiungere un contesto visivo per illustrare il concetto anche con un’immagine. Queste soluzioni dovrebbero consentire di associare correttamente i termini potato press e potato ricer (variante americana) per l’inglese.

Le “interferenze culturali” non sono facilmente identificabili proprio perché spesso sono nascoste. Può quindi essere utile che un terminologo di una lingua diversa da quella di partenza riveda concetti, termini e dati associati prima che inizi il lavoro nelle altre lingue e, nella fase successiva del flusso di lavoro, prevedere la possibilità di aggiungere commenti segnalati automaticamente ai colleghi coinvolti nel progetto, che potranno così monitorare in tempo reale i potenziali problemi e le loro soluzioni (ad es. si potrà decidere di creare una scheda anche per il concetto correlato rappresentato da potato masher).

* La descrizione dello schiacciapatate è adattata dal Vocabolario Treccani.


PS  …che poi neanche il purè e le mashed potatoes sono proprio la stessa cosa, ma questa è un’altra storia! 

Vedi anche Tasti di scelta (rapida) e Che relazione c’è tra obsoleto, disapprovato e deprecato? per altri esempi di relazioni tra concetti.

…e si dice in Lombardia

A Milano, dove vivo, si sentono peculiarità linguistiche a cui non riesco proprio ad abituarmi. Alcuni esempi di regionalismi:

piuttosto che come è ormai noto, in Lombardia non vuol più dire “invece di”,  “anziché” ma indica “oppure”, “o in alternativa”: 
andiamo a mangiare un panino piuttosto che una pizza
(spero anch’io si tratti di un modismo; intanto, per evitare equivoci, ho escluso piuttosto che dal mio vocabolario)
avere bisogno + sostantivo dopo bisogno la preposizione di viene eliminata: 
ha bisogno altri cinque minuti;
dimmi cosa hai bisogno
pregato + infinito senza preposizione di, si sente molto negli aeroporti milanesi: 
il signor X è pregato contattare il banco accettazione
prendavamo, credavamo, bevavamo… la prima persona plurale dell’imperfetto di molti verbi della seconda coniugazione prende la desinenza della prima:
temavamo di non arrivare in tempo
partner viene pronunciato “pattner”
tecnico viene pronunciato “tennico”

Invece trovo molto efficaci gli aggettivi malmostoso (scorbutico, scontroso, letteralmente “che dà poco sugo”) e biotto (nudo) e il sostantivo schiscetta, il contenitore portavivande per chi, al lavoro, si porta il pranzo da casa (finora non ho ancora sentito nessuno che parli di bento box, nonostante la passione locale per sushi e sashimi 😉 ).

Aggiungo un altro regionalismo lombardo, fuffa, e la locuzione settimana prossima senza articolo (nuovo post).

Vedi anche: Si dice in Romagna…  e NON si dice “prendavamo”!

Si dice in Romagna…

L’italiano che si parla in Romagna, dove sono cresciuta, è in genere molto corretto. Ci sono però degli usi peculiari della lingua che non si sentono altrove e che, quando torno lì, mi fanno sempre sorridere. Alcuni esempi di costruzioni che possono lasciare alquanto perplesso un non romagnolo:

rimanere in Romagna è un verbo transitivo: devo andare al Bancomat perché ho rimasto solo 10 euro; siamo andati da Marta ma ha rimasto solo taglie grandi
volere quando usato come sinonimo di “occorrere” segue la costruzione di “servire”: mi vuole un cacciavite a stella; gli vuole più tempo
andarsi verbo riflessivo, specialmente con la prima persona: sono stanco, mi vado a casa e poi mi vado subito a letto
non sapere fare a equivale a “sapere” (essere capace): non sa fare a nuotare
andare da male questa arancia è andata da male
provare di ha provato di fare la tua torta ma non le è venuta bene

L’uso transitivo di rimanere, influenzato dal dialetto, lascia sconcertati i non romagnoli ma localmente nell’uso informale non controllato non va considerato errore ma una caratteristica di una varietà regionale perché è una forma condivisa praticamente da tutti i parlanti “autoctoni”.

Qualche esempio di variazioni sul lessico italiano (geomonimi):

minestra primo piatto di pasta con condimento asciutto (tagliatelle, garganelli e strozzapreti sono minestre, le zuppe invece no): cosa c’è di minestra oggi?
insegna vista a Lugo: APERITIVI  –  MINESTRE –  PANINI
forma "parmigiano" (formaggio): mi passi la forma?
sportina “sacchetto di plastica”
motore “motocicletta” (ha senso, se si pensa al diminutivo motorino!)
cavarsi “spostarsi”: cavati di lì!
prendersi dei nomi “essere redarguito” o “essere ingiuriato”: ho sbagliato a fare il lavoro e mi sono preso dei nomi

Altri esempi nei commenti.


Nuovi post “romagnoli”:


Vedi anche: …e si dice in Lombardia