Il gerundio che non era un participio

Giugno 2015, notiziola estiva che ha suscitato parecchie reazioni a sfondo linguistico: Salvini riscrive la grammatica: «Migrante è un gerundio». Ecco cosa ha detto il leader leghista intervistato dal programma Virus: 

[…] questo vocabolo nuovo inventato dalla Boldrini qualche anno fa… Sono clan-de-sti-ni. Il migrante è un gerundio. Quando migri c’è un migrante. Quando stai qua per due anni, non sei un migrante. Sei un clandestino*. […]

Ha però fatto un errore anche chi ha affermato che migrante non è un gerundio ma un participio presente. Qui infatti migrante non è un verbo ma un sostantivo nato per transcategorizzazione, un processo di conversione comune in italiano, basti pensare a cantante, insegnante, studente, consulente

Non ho visto il programma e non ho molta familiarità con il Salvini-pensiero, ma non mi stupirei se l’errore fosse stato intenzionale. In un messaggio destinato a un pubblico per il quale le categorie grammaticali sono irrilevanti, la parola gerundio è più efficace di sostantivo o participio presente. Provate a pronunciarla a voce alta e a considerare possibili aspetti fonosimbolici: se non se ne ricorda il significato, può comunicare qualcosa di estraneo, forse anche vagamente minaccioso o inquietante. Mi ha fatto pensare a diphthong, che in inglese può essere un’offesa ( Dittongo!).

Salvini sa molto bene come comunicare con i propri elettori, e in questa ottica fa un certo effetto anche il riferimento a Laura Boldrini. Mi pare infatti che in poche parole riesca a sintetizzare sia il fastidio per alcune campagne linguistiche forse un po’ troppo insistenti e artificiose ( Donne e grammatica) che la percezione che la parola migrante sia un’acquisizione recente del nostro lessico, e faccia leva su questo per cercare di sminuire il concetto che rappresenta. Si tratta invece di una parola in uso perlomeno dal secolo scorso e in contesti istituzionali ha un significato ben preciso: dettagli in Migranti, emigrati e immigrati.   

collocazioni sostantivo migranti + aggettivo
Nel grafico, ricavato con Google Ngram Viewer, gli aggettivi associati più di frequente al sostantivo migranti nei corpus di libri italiani pubblicati nel periodo 1985-2008. Una delle collocazioni più comuni è migranti italiani.


* Va rilevato che nella giurisprudenza italiana non appare mai la parola clandestino e non esiste alcun reato di “clandestinità”. Lo chiarisce l’Associazione Carta di Roma, che si occupa dell’informazione corretta sui temi dell’immigrazione:

La parola [clandestino] non è presente nel testo della legge Bossi-Fini, né nel testo unico sull’immigrazione che all’articolo 10 bis disciplina il cosiddetto reato di clandestinità, ma non usa mai questo termine, definendolo invece: “Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”.
Neppure il reato di clandestinità è menzionato come tale nel pacchetto sicurezza (n.94 15/07/2009) che lo ha introdotto e nel testo legislativo recente che lo ha in parte abrogato.
Non esiste quindi una giustificazione giuridica per il suo uso e abuso da parte della politica in primis e dei media poi.


Vedi anche: Terminologia per la Giornata mondiale del rifugiato

Nuovo post: La distorsione delle parole sulla migrazione (giugno 2018)


1 commento su “Il gerundio che non era un participio”

  1. Massimo S.:

    Salvini può aver sbagliato la definizione grammaticale di migrante, ma ha ben comunicato, mi pare, qual è il suo pensiero in relazione al fenomeno migratorio che da tempo investe l’Italia.

    In primo luogo, al di là della definizione grammaticale, ha colto bene l’essenza della persona migrante, cioè colui che migra, cioè una persona o un popolo colto nell’atto o nel momento (che può sicuramente durare anche un certo tempo) del migrare, dello spostarsi da un posto a un altro.

    Mi pare questa proprio una caratteristica del participio presente, uno dei modi indefiniti del verbo, il quale (lo dice la parola stessa) ‘partecipa’ sia della natura del verbo che di quella dell’aggettivo o del sostantivo, assumendo di volta in volta valore di aggettivo o di sostantivo.

    Il migrante, dunque, si sposta da un posto verso un altro posto, ma si chiede retoricamente Salvini se chi, entrato illegalmente in un paese vi rimane illegalmente per un tempo piuttosto lungo, possa ancora definirsi migrante, concludendo polemicamente che per gli abitanti di quel paese la definizione più adatta a descrivere tale realtà è quella di ‘clandestino’.

    Mi pare sia questo il punto rovente e polemico del discorso di Salvini, che si è fatto finta di non capire, che sottintende un’accusa di inefficienza alle istituzioni nel governare e dirigere o assorbire il fenomeno migratorio; e che il termine destinato a suscitare timori e angosce nel suo uditorio non è tanto l’innocuo ‘gerundio’ quanto quello negativo e inquietante di ‘clandestino’.

    Il ‘clandestino’ è il nascosto, il senza volto, il non identificato che si cela all’interno della collettività ignara per operare senza regole a danno della collettività medesima…

    Inoltre Salvini, sostituendo migrante con clandestino, opera una subdola equiparazione di fatto tra i due termini, finendo per scaricare anche sul termine introdotto da Boldrini a fini, secondo lui, eufemistici e svianti, la negatività che accompagna il termine clandestino.

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