Volete un esempio di come non fare comunicazione istituzionale? Eccolo:
È il documento “messo a punto da Istituto Superiore di Sanità, con i ministeri della Salute e dell’Istruzione” destinato a tutte le istituzioni scolastiche del I e II ciclo. Contiene una lunga introduzione a due tabelle con misure di prevenzione non farmacologiche.
Immagino che al documento abbiano collaborato varie persone eppure, a quanto pare, prima della pubblicazione nessuno si è reso conto che il testo è farraginoso, incongruente e vago ma anche infarcito di tecnicismi usati senza alcuna spiegazione.
Si ha l’impressione che nessuno abbia considerato i destinatari del testo – chiunque lavori nella scuola – e tantomeno si sia chiesto quanti possano sapere cosa sono preparedness e readiness e come si differenziano, cos’è un setting scolastico, cos’è un razionale, cosa si intende con etichetta respiratoria e molto altro.
Ho scelto questi esempi perché sono anglicismi di difficile comprensione, inadatti alla comunicazione istituzionale. Li ho analizzati qui sotto, con considerazioni dettagliate che spero diano indicazioni utili a chi deve usare terminologia specialistica per rivolgersi a un pubblico di non esperti.
Preparedness e readiness, che differenza c’è?
Titolo e scopo del documento fanno supporre che gli anglicismi preparedness e readiness rappresentino due concetti chiave, però sono usati solo una volta nell’introduzione (“è necessario tenere conto della possibilità di variazioni del contesto epidemiologico e attuare un’azione di preparedness e readiness”), senza alcuna spiegazione.
Nelle tabelle scompare ogni riferimento a preparedness ma si nota la colonna Risorse necessarie per Readiness (con insolita maiuscola, come se fosse un nome proprio!).
Senza altre informazioni non è sufficiente conoscere l’inglese per poter distinguere i concetti. Nel lessico comune inglese readiness e preparedness, di registro più formale, sono infatti considerati sinonimi: nella maggioranza dei vocabolari monolingui preparedness è definito come the state of being ready. Esempio:
In questo caso però il senso di preparedness vs readiness non va cercato in un vocabolario perché non si tratta di lessico comune ma di termini dell’ambito specialistico della gestione delle emergenze di sanità pubblica.
Nel Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale (PanFlu) 2021-2023 del Ministero della Salute ho trovato un glossario con riferimenti utili:
Non sono definizioni ottimali perché non identificano un concetto sovraordinato (iperonimo) e non specificano le caratteristiche distintive che differenziano il concetto descritto dagli altri concetti coordinati. Se però si consulta anche Glossary of health emergency and disaster risk management terminology (2020) dell’OMS, si può provare a sintetizzare:
preparedness ➝ conoscenze, competenze e risorse necessarie per affrontare un’emergenza
readiness ➝ capacità di risposta tempestiva ed efficace all’emergenza attuata grazie alla preparedness
Readiness e preparedness sono esempi di terminologizzazione: una parola del lessico comune viene risemantizzata e trasformata in un termine che designa un concetto particolare, dando origine a un neologismo semantico.
È un processo che in inglese è molto sfruttato nei linguaggi speciali ma che a volte nasce da associazioni arbitrarie, ad esempio ricorrendo a parole altrimenti analoghe ma con origini o sfumature stilistiche diverse (in questo caso readiness da radice germanica vs preparedness latina e di registro più formale).
Senza informazioni specifiche sull’ambito d’uso diventa quindi più complicato interpretare e distinguere correttamente i concetti: un motivo in più per evitare anglicismi di nicchia, sconosciuti al di fuori dei loro ambiti specialistici.
Se invece si ritiene che gli anglicismi siano davvero insostituibili, vanno fornite definizioni adeguate facilmente consultabili (a meno che l’intento non sia proprio quello di risultare oscuri e fumosi!).
Mitigazione
Ha un significato settoriale anche mitigazione, calco dell’inglese mitigation, che nell’ambito della gestione delle emergenze va inteso come riduzione o limitazione dei rischi.
Setting scolastico
“La scuola rappresenta uno dei setting in cui la circolazione di un virus a caratteristiche pandemiche richiede particolare attenzione” … “interventi nel setting scolastico in relazione al quadro epidemiologico” … “Limitare l’accesso nel setting scolastico ai soggetti sintomatici riduce il rischio di trasmissione durante la fase infettiva”
Setting è una parola del lessico comune inglese che significa genericamente luogo, ambiente, ambito o contesto dove avviene qualcosa. Collocazioni settoriali tipiche sono healthcare setting, public health setting.
In questo documento setting è un anglicismo superfluo: basta confrontare le frasi di esempio qui sopra con il titolo, dove è stato invece usato ambito scolastico, per concludere che identificano lo stesso concetto.
Razionale
Nelle tabelle con le misure di prevenzione ci sono quattro colonne con queste intestazioni:
• Intervento
• Razionale
• Indicazioni
• Risorse necessarie per Readiness
Il sostantivo italiano razionale significa “ciò che segue gli schemi logici della ragione”, incongruente con il contenuto della colonna che invece contiene ripetutamente la frase generica ridurre la trasmissione del virus (e alcune alternative altrettanto vaghe come limitare gli assembramenti).
Per capire il senso di razionale bisogna riconoscere un falso amico, calco della parola inglese rationale /ˌræʃəˈnɑːl/. Equivale a logica nel senso di “ragione alla base di un determinato comportamento” e in questo contesto generalista potrebbe essere sostituito da obiettivo.
Etichetta respiratoria
La parola etichetta fa pensare a un cartellino con dati o informazioni, ma qui si tratta di un omonimo di tutt’altra origine: etichetta respiratoria è un falso amico, traduzione letterale dell’espressione inglese respiratory etiquette.
In inglese etiquette ha un significato ampio di regole e prassi di comportamento, non solo in società ma anche tra gli appartenenti a una particolare professione o gruppo o tra chi svolge una particolare attività (cfr. netiquette, da net+etiquette, le regole di comportamento da tenere su Internet).
In italiano invece etichetta identifica protocollo e galateo a cui attenersi nelle corti e nell’alta società, oppure è usata in espressioni figurate che rimandano ad apparenza e forme esteriori, ma non condivide l’accezione generica di regole e prassi dell’inglese. Inoltre, ha una bassa frequenza d’uso ed è improbabile che venga in mente in un contesto di misure di prevenzione.
Nello specifico, in inglese respiratory etiquette (o più informalmente cough / sneeze etiquette) indica i comportamenti corretti quando si tossisce e starnutisce, come coprirsi la bocca, usare fazzoletti di carta, starnutire nel gomito (Dracula sneeze!), portare la mascherina, lavarsi le mani ecc.
Nel materiale informativo del Ministero della Salute e varie aziende sanitarie già prima del Covid si ricorreva a igiene respiratoria, che è sicuramente una locuzione più comprensibile di etichetta respiratoria. Senza una gestione sistematica della terminologia, o perlomeno dei glossari di riferimento, è però laborioso reperire e verificare questo tipo di informazioni.
Maledizione della conoscenza
Questi esempi e vari altri calchi nel documento, alcuni già molto diffusi come severo per grave ed evidenze, danno l’impressione di traduzioni frettolose di fonti in inglese fatte senza verificare l’eventuale esistenza di terminologia più idonea o, in alternativa, senza contemplare la necessità di creare un termine italiano da far diventare lo standard del settore (cfr. formazione secondaria dei termini). È inoltre palese che non sono state considerate le potenziali difficoltà di comprensione dei lettori.
È un caso tipico di “maledizione della conoscenza”, l’incapacità di rendersi conto che non tutti hanno le proprie conoscenze. Si manifesta con informazioni e riferimenti dati per scontati e l’uso di gergo, abbreviazioni, acronimi, forestierismi e terminologia da addetti ai lavori (come PLS, MMG, agenti eziologici…).
Si evita facendo più attenzione ai destinatari del testo e ricorrendo a lettori reali per identificare problemi di comprensione, ma anche sviluppando competenze terminologiche che consentano di identificare i termini più ostici e definirli adeguatamente. Per maggior dettagli: La “maledizione della conoscenza” e Terminologia e comunicazione.
Ricordo anche i criteri di condotta per l’uso di anglicismi di Francesco Sabatini, che si possono estendere anche ai tecnicismi:
Ne andrebbe stampata una copia da appendere davanti alla scrivania di chiunque abbia contribuito a questo documento!
Questioni di comunicazione
Mi sono limitata a un’analisi di pochi termini, ma potrei elencare varie incongruenze terminologiche (ad es. mascherina vs dispositivo di protezione respiratoria) e parole del lessico comune usate però in modo ambiguo. Esempio:
Utilizzo di mascherine chirurgiche, o di dispositivi di protezione respiratoria di tipo FFP2, in posizione statica e/o dinamica (per gli studenti e per chiunque acceda o permanga nei locali scolastici, da modulare nei diversi contesti e fasi della presenza scolastica)
È evidente anche la scarsa leggibilità del documento, che inizia con un muro di testo di due pagine con frasi lunghe e complesse, spesso di difficile comprensione. Esempio:
Tuttavia, nonostante gli interventi nel setting scolastico possano essere specifici, è necessario sottolineare che la scuola si inserisce nel contesto più ampio della comunità, per cui le misure applicate in ambito scolastico, affinché possano essere effettivamente efficaci, devono tenere conto ed essere preferibilmente omogenee con le misure previste in ambito comunitario.
Nel testo si notano anche refusi, sintassi traballante, ridondanze e incongruenze, in particolare nelle tabelle dove è difficile confrontare le misure perché per molte vengono usate formulazioni completamente diverse tra loro.
Mancano del tutto riferimenti scientifici per chiarimenti e approfondimenti, ma non occorre avere competenze settoriali specifiche per accorgersi che le misure appaiono molto vaghe e poco aggiornate. Negli interventi ci sono vari accenni ai distanziamenti di un metro e alla sanificazione delle superfici, che da tempo si sa quanto poco servano, ma nessuno alla trasmissione per aerosol (anglicismo giustificato!) e quindi neppure agli strumenti e alle risorse necessari per ridurla. Esempio di una misura dalla prima tabella:
Intervento: Ricambio d’aria frequente, Qualità dell’aria
Razionale: Ridurre la trasmissione del virus e migliorare la qualità dell’aria
Indicazioni: Deve essere sempre garantito un frequente ricambio d’aria
Risorse necessarie per Readiness: [vuoto]
Possibile che non si possa fare di meglio? Nelle istituzioni non esistono linee guida interne per la comunicazione, istituzionale e scientifica? Nessuno degli autori ha familiarità con le indicazioni per la semplificazione del linguaggio amministrativo? Possibile che al Ministero dell’Istruzione manchino le competenze per scrittura e revisione di testi pubblici? O forse manca la volontà di comunicare in maniera più efficace e veramente comprensibile per tutti i cittadini?
Mi piacerebbe davvero saperlo. Per vedere qualche miglioramento sarei anche disposta a fare un corso di formazione terminologica gratuito al personale che si occupa di comunicazione. Non sto scherzando.
Vedi anche:
► Terminologia e comunicazione
► Terminologizzazione e tecnicismi deboli
► M.easy? YEAH, è inglese farlocco istituzionale! (breve raccolta di anglicismi e pseudoanglicismi usati nella comunicazione del Ministero dell’Istruzione)
► Le comunicazioni istituzionali e il rischio dell’inglese farlocco (un mio contributo per il Portale Treccani)
Aggiornamento – Questo post è stato citato in Gruppo Incipit, comunicato n. 20: La preparedness e readiness ad interim: un modo sbagliato di parlare di sanità alla scuola (Accademia della Crusca). I linguisti e gli altri esperti del gruppo Incipit concordano con la mia analisi e concludono ricordando che “Lo specialismo esagerato e immotivato, con conseguente ricorso a prestiti non adattati e a calchi approssimativi dall’inglese, non trova in questo caso alcuna giustificazione plausibile, e la critica deve essere netta e severa”.
Marco:
Premesso che le istituzioni debbano avere l’obbligo di comunicare in maniera quanto più chiara possibile, mi chiedo perché non tentare una possibile resa in italiano di “preparedness” e “readiness”. Per “etichetta respiratoria” non ci vedo una così grande catastrofe, dato che “etichetta” potrebbe essere risemantizzato in modo da coprire pure la sfera semantica di “etiquette”, però sottolineo che è una mia considerazione.
Erika Pilar:
È sempre un piacere leggere articoli così ben scritti e approfonditi. Grazie per l’utilissimo lavoro!
Paolo D’Ancona:
Interessante analisi e senz’altro ben fatta. Parte però dal presupposto errato: questo non è un documento di comunicazione, ma è un documento tecnico e come tale deve essere letto e considerato. Purtroppo l’uso dei termini inglesi sta diventando predominante, ma sono terribilmente più comodi quando identificano concetti complessi con una sola parola. Tutto complicato dal fatto che in certe aree scientifiche poi non esistono definizioni ufficiali. La leggibilità di un documento dipende anche dalla formazione di ciascuno di noi. Comunque una analisi come questa è assolutamente interessante e costruttiva per documenti sempre migliori. Cosi la vedo anche io
@Marco: sicuramente sarebbe opportuno trovare alternative italiane a readiness e preparedness se sono concetti destinati a uscire da un ambito specialistico e a essere usati in comunicazioni rivolte a buona parte dei cittadini, soprattutto se ai cittadini saranno richieste azioni specifiche. Riporto alcune considerazioni fatte in La “via italiana” alla Scuola Digitale a proposito di nuovi concetti, specifici dell’Istruzione, per i quali il Ministero ricorre sempre più frequentemente ad anglicismi poco trasparenti, perché ritengo che valgano per ogni ambito “ministeriale”:
Per i non addetti ai lavori, molti dei concetti sono del tutto nuovi e difficilmente si potranno trovare in altri contesti perché sono specifici dell’istruzione. Il MIUR ha una grande opportunità che secondo me sta sprecando: potrebbe denominare i nuovi concetti in italiano, senza temere alcuna concorrenza terminologica perché ha il loro “monopolio”, e invece sta privilegiando parole inglesi.
Su etichetta vs igiene, perché ricorrere a una diversa denominazione se ne esiste già una più trasparente, e creare così incongruenze?
@Erika grazie!
@Paolo D’Ancona grazie, ho apprezzato molto il contributo. Nella mia analisi ho preso come riferimento i destinatari del documento (pag. 3), che interpreto come “tutto il mondo della scuola”, quindi anche persone senza specifiche competenze tecniche:
Anche le comunicazioni via social del Ministero dell’Istruzione danno la stessa impressione. Esempio da Twitter:
Un esempio invece virtuoso delle stesse informazioni comunicate in maniera sintetica e facilmente comprensibile, a parte alcuni tecnicismi, è la seconda parte del comunicato stampa nel sito dell’ISS, Covid-19: pubblicate le indicazioni operative per le scuole. Si può notare subito come l’uso dei punti elenco migliori la leggibilità.
Sui termini specialistici, anche se non esistono definizioni “ufficiali” ritengo che per uno specialista non dovrebbe comunque essere difficile crearne ad hoc, perché altrimenti significherebbe che i concetti che denominano non sono ben chiari a chi li usa? In Terminologia e comunicazione alcune indicazioni su come identificare i termini che è opportuno spiegare quando la comunicazione si rivolge a non addetti ai lavori.
Paolo D’Ancona:
@Licia. Sui destinatori, equivoco comprensibile. Per l’igiene respiratoria vs etichetta, sono sinonimi e anche traduzioni (!!!) di termini internazionalmente riconosciuti . La varietà della lingua è un bene di solito. Google da poco più di 9000 pagine che menzionano etichetta respiratoria e 17.000 igiene respiratoria, quindi un confronto accettabile. Il termine etichetta vuole sottolineare che è un comportamento rispettoso anche nei contronti degli altri, una buona regola di comportamento insomma. Sono contento che siano apprezzati gli sforzi del nostro ufficio stampa per rendere tutto chiaro a tutti.
Infine per l’ultimo punto, il documento era nato per essere molto sintetico altrimenti avremmo inserito un glossario come abbiamo fatto in altri documenti.
Licia:
@Paolo D’Ancona grazie ancora. Aggiungo solo una puntualizzazione sulla variazione della lingua: nei linguaggi speciali sarebbe invece preferibile evitarla sempre e seguire l’indicazione un concetto ➝ un unico termine, senza mai ricorrere a sinonimi, che è fondamentale nel lavoro terminologico per evitare errori ed ambiguità (per una persona poco esperta, ad esempio, potrebbe non essere ovvio che igiene respiratoria ed etichetta respiratoria rappresentano lo stesso concetto).
Durante la pandemia si sono visti alcuni effetti negativi dell’uso di “sinonimi” inadeguati nei media: basti pensare a come gli antivaccinisti si sono appropriati della parola siero e a come hanno sfruttato l’ambiguità di immunizzato che nei media è stato molto usato come sinonimo di vaccinato (anche per interferenza dell’inglese). Ne avevo discusso in Promemoria per i media: immunizzato ≠ vaccinato, evidenziando alcune incongruenze tra la comunicazione precisa dell’ISS e le “variazioni” inopportune apportate da alcuni media per evitare ripetizioni.
Alessandro:
Anche se non dubito della sinonimia delle espressioni “igiene respiratoria” ed “etichetta respiratoria” in ambito medico, mi chiedo quanto siano affidabili i numeri forniti da Google.
L’algoritmo di Google non è stato sviluppato per eseguire ricerche di frequenza lessicale, ma per fornire pagine attinenti all’argomento cui si riferiscono i termini di ricerca inseriti. Tra le tante pagine fornite come risultati, ce ne sono molte che non contengono affatto il termine inserito nel campo di ricerca, ma un termine o un’intera frase che Google ritiene equivalente e che fornisce come risultato perché ritiene che abbia a che vedere con l’argomento cercato (l’argomento, non le parole).
L’enorme base di dati di Google è un corpus linguistico estremamente disomogeneo: si va dalle traduzioni automatiche a quelle eseguite da professionisti della traduzione; da testi con sintassi zoppicante e lessico lacunoso ad articoli accademici e pubblicazioni scientifiche. Inoltre, il numero di occorrenze fornite da Google è solo una stima, peraltro poco affidabile; ho appena cercato “igiene respiratoria” e stavolta Google riporta 32.400 occorrenze. Basta andare all’ultima pagina dei risultati forniti perché tale numero venga aggiornato a 197.
In un contesto come quello di internet, dove la fonte della maggior parte delle informazioni è l’inglese e la maggior parte delle traduzioni viene eseguita da traduttori improvvisati o automatici, ho l’impressione che la frequenza dei calchi rispetto all’espressione tradotta correttamente sia nettamente maggiore.
Per questo mi stupisce che il numero di occorrenze dei risultati di Google venga citato spesso come prova di qualcosa. Li ho visti menzionati anche nelle risposte dell’Accademia della Crusca, sebbene le argomentazioni delle risposte non siano basate ovviamente solo su quei dati.
Trovo molto utile consultare Google per farmi un’idea del contesto in cui appare un’espressione, ma non lo utilizzerei per decidere se un’espressione è corretta o scorretta in base al numero di occorrenze riportato.
Daniela:
Gentile Licia,
nei palazzi del ministero P.I. c’è un malinteso senso dell’appropriatezza del linguaggio comunicativo: chi usa più anglicismi (magari a sproposito) è ritenuto più competente e nessuno, nei paraggi, vuol far sapere che non ha capito il contenuto di una circolare.
La lingua italiana, ricca, accurata e puntuale, ha tutto ciò che serve in quanto a pertinenza ed adeguatezza per tutti i registri possibili, compresi quelli formali, letterari e scientifici.
Povera lingua italiana maltrattata e poveri noi, a cui sono indirizzate le circolari, che dobbiamo cercare articoli come il Suo (grazie per il suo eccellente lavoro!) per applicare le disposizioni regolamentari.
Serve far capire ai redattori di note ministeriali che l’obbiettivo della comunicazione è farsi intendere facilmente ed univocamente e non fare i pavoni usando (solitamente copiando ed incollando) termini di una lingua che mal si padroneggia ma fa molto “cool”.
Ancora grazie!!
Manuel Carrera Díaz:
ACCADEMIA DELLA CRUSCA – GRUPPO “INCIPIT”- COMUNICATO STAMPA N. 20
La preparedness e readiness ad interim:
un modo sbagliato di parlare di sanità alla scuola
Firenze, Accademia della Crusca, 23 agosto 2022
Il 5 agosto 2022 sono state diramate, senza firma, ma con i loghi dell’Istituto Superiore di Sanità, del Ministero della Salute, del Ministero dell’Istruzione e della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, le «Indicazioni strategiche ad interim per la preparedness e readiness ai fini della mitigazione delle infezioni da SARS-CoV-2 in ambito scolastico (a.s. 2022-2023)». Già il titolo di questo documento, con i termini tecnici preparedness e readiness, sconosciuti alla quasi totalità degli italiani e di non facile interpretazione anche ricorrendo a dizionari inglesi, uniti al latinismo burocratico ad interim (con probabile allusione al fatto che si tratta di norme provvisorie, suscettibili di modifica), mostra un atteggiamento assolutamente refrattario alla buona comunicazione (per tacere, inoltre, del pesante “burocratese” della frase ai fini della mitigazione delle infezioni da SARS-CoV-2 in ambito scolastico).
Nel resto del documento ricorrono espressioni come setting scolastico, razionale nel significato inglese di rationale e non nel significato italiano, etichetta respiratoria per ‘igiene respiratoria’, e via dicendo. Inutile da parte nostra analizzare il documento, che ci pare pessimo nella veste linguistica oscura e farraginosa, perché l’operazione è stata già condotta molto bene e con grande tempismo da Licia Corbolante nel suo sito: https://www.terminologiaetc.it/2022/08/08/significato-anglicismi-indicazioni-covid-scuola-2022/
Non ci resta che dichiarare il nostro pieno accordo con quanto la studiosa ha scritto e unirci all’invito a “fare di meglio” che Licia Corbolante ha rivolto ai ministeri coinvolti, invitandoli, semplicemente, a usare la lingua italiana. Facciamo notare che quello esaminato non è un documento interno per addetti ai lavori, ma un elenco di azioni che dovranno essere applicate in tutt’Italia da dirigenti scolastici e insegnanti. Lo specialismo esagerato e immotivato, con conseguente ricorso a prestiti non adattati e a calchi approssimativi dall’inglese, non trova in questo caso alcuna giustificazione plausibile, e la critica deve essere netta e severa.
[…]
Licia:
@Alessandro, condivido le perplessità sui numeri ottenuti dalla ricerche su Google. Sarebbe invece opportuno ricorrere a corpora costruiti in modo che siano veramente rappresentativi e che quindi considerino diversi parametri. Si corre altrimenti il rischio di “quantifauxcation”.
@Daniela purtroppo non c’è molta consapevolezza nell’uso della lingua e dell’impatto che le proprio scelte lessicali e terminologiche possano avere sui destinatari. Riporto anche qui le parole del linguista Luca Serianni in conclusione dell’intervento Per una neologia consapevole al convegno La lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi:
Uno dei compiti dei linguisti, a mio avviso, è quello di favorire la riflessione sulla lingua e sul suo significato anche identitario. La salute della lingua dipende, lo sappiamo bene, non da interventi esterni ma dai singoli parlanti (ossia da ciascuno di noi). Compete però ad alcuni di essi, per la posizione che occupano – ministro, direttore di un giornale cartaceo o televisivo, intellettuale che sia spesso ospitato in trasmissioni di grande successo ecc. – la responsabilità di un uso consapevole della lingua, rispettoso sia della sua storia, sia del diritto di ciascuno a riconoscersi appieno nelle parole che ascolta o legge negli interventi di chi opera in un àmbito pubblico.
@Manuel, grazie, era proprio mia intenzione aggiornare il post con un rimando a Gruppo Incipit, comunicato n. 20: La preparedness e readiness ad interim: un modo sbagliato di parlare di sanità alla scuola.
Alessandro:
Volevo solo segnalare che, (immagino) dopo la pubblicazione dell’articolo del Gruppo Incipit sul sito dell’Accademia della Crusca, questo post è stato citato anche da Claudio Marazzini in una breve intervista che gli è stata fatta nel programma di Radio24 “Effetto estate”, durante puntata del 24 agosto. Il podcast del programma è disponibile sul sito di Radio24. L’intervista inizia all’incirca al minuto 37 del podcast.
Alessandro A:
Utile discussione per chi come me lavora, con mille difficoltà, nella comunicazione in ambito sanitario e ogni giorno deve affrontare il problema su come tradurre i termini e concetti specialistici con l’aggravante dell’intersezione con il settore informatico.
Grazie
Emanuela Piemontese:
E’ davvero disperante che dopo tanto impegno profuso con passione e con qualche competenza da molti di noi, a trent’anni dal Codice di Stile, non solo non sia migliorata la qualità della comunicazione istituzionale, ma che chi scrive testi non abbia la minima consapevolezza delle mostruosità prodotte. Disinteresse/disprezzo per il destinatario, superficialità nell’uso delle parole, testi oscuri, lunghi e farraginosi, scarsa conoscenza delle lingue straniere e dei problemi traduttivi nei testi di carattere più tecnico e specialistico. Abbiamo fatto centinaia di corsi e raggiunto migliaia di amministratori pubblici in tutt’Italia. Il problema è che la mano destra continua a non sapere cosa fa la sinistra e spesso l’una taglia l’altra. E, in molti casi, finisce che entrambe non fanno nulla! Grazie e buon lavoro. Emanuela Piemontese
Marco Tronti:
Maledizione della conoscenza?
Mah? Forse maledizione della non conoscenza?
Dell inglese e dell italiano sembrerebbe.
Da anni la normativa italiana di ogni livello è scritta così.
Per non parlare dei corsi universitari in inglese tenuti da prof. che l inglese proprio non lo sanno.
PAOLO SARTORI:
L’USO DI TALI E TANTI INUTILI ANGLICISMI MI FA TORNARE ALLA MEMORIA I LONTANI, PER FORTUNA, ANNI DI INSEGNAMENTO: IL DOCENTE ITALIANO MEDIO, MASSIME DI LETTERE E FILOSOFIA, CONOSCE POCO O PUNTO L’INGLESE MA NON VEDE L’ORA DI USARLO, SEMPRE CON UNA PRONUNCIA DA BRIVIDI, BASTI PENSARE ALLA “MISSION”, ORMAI PAROLA-TOTEM DELLA DIDATTICA. CONCORDO PIENAMENTE CON L’ARTICOLO MA NON CAPISCO PER QUALE MOTIVO SI DEBBA USARE “VS”, UN ALTRO ANGLICISMO INUTILE. L’HO VISTO PERSINO IN UN TESTO DI FILOLOGIA CLASSICA…INOPPORTUNO, COME MINIMO.
Lorenzo Pantieri:
Il motivo per cui gli autori del documento scrivono
“Indicazioni strategiche ad interim per preparedness e readiness ai fini di mitigazioni delle infezioni da SARS-CoX-2 in ambito scolastico (a.s. 2022-2023)”
anziché
“Indicazioni per contrastare efficacemente e velocemente le infezioni da Covid-19 nelle scuole”
o, ancora meglio,
“Come contrastare le infezioni da Covid-19 nelle scuole?”
sta in una disonestà di fondo. Chi ha scritto il documento pensa di poter giustificare il suo stipendio se parla in burocratese anziché in italiano. Si scrive in burocratese per cercare di convincere che si è di più di quello che si è davvero.
Tutto qui.