È meglio dire seno, tette o mammelle?

Un mio tweet su un esempio della “priorità variazione” dei media che inaspettatamente ha suscitato parecchie reazioni:

Tweet: “il terrore delle ripetizioni colpisce ancora: la parola tette per non usare due volte seno è del tutto fuori luogo in un contesto che richiede terminologia scientifica / tecnica”. Testo commentato: “I problemi, secondo gli ispettori, riguardano quindi soprattutto il sostegno psicologico che dovrebbe essere fornito ai minori prima che inizino un trattamento con la triptorelina. […] Farmaci come la triptorelina sono detti bloccanti della pubertà e agiscono sul sistema endocrino: fermano lo sviluppo delle mestruazioni, la crescita delle tette e dei peli, lo sviluppo dei testicoli e l’abbassamento della voce. Sono già ampiamente utilizzati per il trattamento della pubertà precoce, che avviene prima degli otto o nove anni, e anche contro il tumore al seno e alla prostata”
Fonte del testo: L’ispezione al Careggi di Firenze sui farmaci per minorenni con disforia di genere ha trovato problemiIl Post

La mia intenzione era di evidenziare il famigerato terrore delle ripetizioni, ma vari commenti sulle parole tette e seno mi hanno fatto capire che avrei dovuto essere più precisa sul senso di contesto e specificare che la fonte dell’esempio era un testata giornalistica generalista (fa informazione rivolta a chiunque), una situazione comunicativa che richiede scelte lessicali congruenti.

Questo spazio mi consente di fare osservazioni più puntuali. In sintesi, troverete cosa si intende con varietà linguistica e perché è rilevante per la discussione, in quali contesti la parola tetta è inadeguata ed è invece preferibile seno, e infine la differenza tra parole e termini esemplificata da seno e mammella.

Varietà linguistica

La lingua è un sistema multidimensionale, uno spazio complesso di variazione linguistica dove interagiscono diversi fattori sociali ed extralinguistici. L’architettura dell’italiano contemporaneo viene spesso rappresentata con lo schema del sociolinguista Gaetano Berruto:

Architettura dell’italiano contemporaneo – schema adattato da G. Berruto, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo (2012)

asse diafasico: contesto, intenzione comunicativa e situazione d’uso (grado da formale e formalizzato a informale, con diversi registri d’uso)

All’interno dello schema sono indicate alcune realizzazioni di varietà linguistica, che Berruto descrive come “un insieme coerente di elementi (forme, strutture, tratti, ecc.) di un sistema linguistico che tendono a presentarsi in concomitanza con determinati caratteri extralinguistici, sociali”.

Vicino al centro dello schema è collocato l’italiano neo-standard, la varietà parlata e scritta impiegata “dalla generalità delle persone almeno mediamente colte, dai giornali e dai mass media in genere”. È la varietà che si ritrova negli articoli della testata online Il Post, da cui è tratto il testo iniziale, ed è la varietà che uso anch’io qui. Per dettagli, cfr. Caratteristiche linguistiche del neo-standard in L’italiano neo-standard oggi: stato dell’arte di Silvia Ballarè.

Tetta?

Il riferimento alla varietà linguistica ci consente di capire perché in un articolo su un argomento complesso, come un’ispezione del Ministero della Salute con nozioni sulla disforia di genere, una parola colloquiale come tette appare inappropriata e inadeguata alla situazione comunicativa.

L’incongruenza risulta ancora più evidente per la prossimità di termini di registro non marcato come sistema endocrino, testicoli e mestruazioni. La parola tetta non susciterebbe invece nessuna perplessità in una conversazione informale in cui si parla di ormoni, palle e ciclo (o relativi eufemismi), e cioè nell’uso in varietà linguistiche che nello schema sarebbero posizionate più in basso lungo l’asse diafasico e più a destra lungo l’asse diamesico.

Non c’è quindi da stupirsi che la parola tetta, marcata come “colloquiale” o “familiare” in tutti i dizionari, venga percepita dai lettori come una scelta lessicale non coerente con la varietà linguistica abitualmente usata dalla testata Il Post e sia stata variamente commentata.

Seno

In questo tipo di situazione comunicativa la parola di registro non marcato che ci si aspetta è seno, che effettivamente appare anche qualche riga più sotto nello stesso testo: tumore al seno e non tumore alle tette.

Ho però poi scoperto da Il grande dibattito sulle tette, un articolo di Il Post dello scorso gennaio, che tette non è una svista ma una precisa scelta stilistica della redazione:

«corrisponde ai criteri abituali del Post di usare linguaggi familiari, di scrivere come si parla, di non servirsi di termini artificiosi, eufemistici o diversi da quelli della comunicazione quotidiana»

La redazione è consapevole delle obiezioni dei lettori su tette ma ritiene comunque che seno non sia una parola adatta:

«[…] non esiste, a nostro giudizio, nessuna parola alternativa [a tette] che contemporaneamente sia di uso comune e non suoni artificiosa, tecnica o “cringe”, per definire una cosa con cui una gran parte di noi ha una così quotidiana e concreta familiarità, diciamo.

[…] La sola alternativa di uso più comune – certo, ci stiamo arrivando – e suggerita da alcune lettrici e lettori, è “seno”: usato a volte per indicare una tetta, a volte per indicarle tutte e due come sinonimo di “petto”, altre volte al plurale “seni” per indicarle ancora tutte e due. Questo uso, però, benché diffuso, nasce da una conoscenza sbagliata del significato della parola: che è quello di una cavità, un vuoto, uno spazio tra altro (la radice è la stessa di “insenatura”, o della “sinusite” che riguarda le cavità all’interno dei buchi del naso).»

Seguono altre considerazioni etimologiche volte a dimostrare l’uso a loro parere “errato” di seno. Sono affermazioni che però rivelano fraintendimenti di concetti linguistici di base:

È normale che le parole del linguaggio comune abbiano più di un’accezione: a un significato di base, “letterale”, di una parola comune nel tempo si aggiungono altri significati. La polisemia risponde al principio di economia linguistica, che ci consente di riutilizzare un unico segno in modi diversi, disambiguati dal contesto d’uso. 

Il cambiamento semantico è un fenomeno frequentissimo, che si realizza attraverso vari meccanismi. Nuovi significati nascono per uso metaforico, oppure per metonimia, che ci permette di usare un’entità al posto di un’altra legata a un rapporto di vicinanza (ad es. bocca ci arriva dal latino bucca che però era la guancia, coscia da coxa che era l’anca), oppure per sineddoche, che indica la parte per il tutto o viceversa (ad es. tetta in origine era solo il capezzolo, da cui tettarella).

Tra gli altri meccanismi di risemantizzazione c’è il prestito camuffato dovuto all’interferenza di altre lingue. A volte una parola può acquisire anche un significato contrario, un fenomeno noto come enantiosemia (ad es. ospite significa sia chi ospita che chi è ospitato). Si potrebbero poi fare moltissimi esempi di restrizione e di allargamento di significato (ad es. in latino pellis era la pelle degli animali, in italiano pelle è anche quella umana).  

Tutti i principali dizionari dell’uso, che documentano il lessico della lingua contemporanea, riportano che nel linguaggio comune la parola seno, per estensione di significato, ha come accezione prevalente “organi della parte anteriore del tronco umano, specialmente femminile”. È con questa accezione (e non di spazio, insenatura o altro) che seno fa parte del lessico fondamentale della lingua italiana, cfr. De Mauro 2016.

Se consideriamo un ulteriore asse di variazione linguistica, la diacronia, si scopre che non si tratta neppure un cambiamento recente. Trovo quindi del tutto ingiustificato* rifiutare l’uso di seno su base etimologica: la conoscenza sbagliata del significato della parola temo sia quella di chi ritiene che è errato usare seno nella comunicazione quotidiana.

Sarebbero invece state più pertinenti alcune considerazioni sulla differenza tra parole e termini, e cioè tra lessico comune, usato in qualsiasi varietà linguistica, e lessico specialistico, usato invece in ambiti settoriali.

Seno o mammella?

Riprendo lo schema dell’italiano contemporaneo per evidenziare un’altra varietà linguistica che nello schema è posizionata lontano dall’italiano neo-standard, in alto sull’asse diafasico: l’italiano tecnico-scientifico (per i tratti distintivi cfr. lingua della scienza di Michele Cortelazzo).

Architettura dell’italiano contemporaneo – schema adattato da G. Berruto, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo (2012)

A livello lessicale i linguaggi scientifici sono caratterizzati da precisione denominativa: si rifugge la polisemia tipica del lessico di base e viene invece privilegiato il principio di un unico termine per identificare in modo univoco un concetto specifico e differenziarlo dai concetti correlati, evitando così possibili ambiguità.

È proprio nel linguaggio medico che il termine seno ha il significato anatomico di cavità (cfr. seno mammario, seno paranasale, seno venoso, seno carotideo…) e si distingue quindi dalla parola seno del linguaggio comune nella sua accezione prevalente di organo femminile.

Tale organo nel linguaggio medico si chiama invece mammella ed è identificato più precisamente come ghiandola cutanea caratteristica dei mammiferi, che nelle femmine ha la funzione di secernere il latte dopo il parto.

Tornando all’esempio iniziale: considerati i contenuti “tecnici” dell’articolo, sarebbe stato preferibile usare mammella?

lo sviluppo delle mestruazioni, la crescita delle tette, lo sviluppo dei testicoli […]
il tumore al seno
  
lo sviluppo delle mestruazioni, la crescita delle mammelle, lo sviluppo dei testicoli […]
il tumore alla mammella

In una pubblicazione settoriale, ad es. un articolo medico o una relazione tecnica, come l’esito di un’ispezione ministeriale, mammella è sicuramente la scelta da privilegiare.

In un articolo di una testata generalista eviterei invece mammella perché viene usata una diversa varietà linguistica che già dispone della parola non marcata e più frequente seno. Mammella è un termine molto preciso che esclude ambiguità, ma che può essere percepito come non congruente con la situazione comunicativa (c’è chi lo trova un tecnicismo, chi gli attribuisce un senso esclusivamente veterinario, chi dà giudizi estetici ecc.).

Ne ha consapevolezza il personale medico che, ad esempio, quando si rivolge alle pazienti evita il termine ecografia mammaria e ricorre invece a ecografia al seno, dimostrando così di padroneggiare il concetto di varietà linguistica descritto all’inizio:  

un insieme coerente di elementi (forme, strutture, tratti, ecc.) di un sistema linguistico che tendono a presentarsi in concomitanza con determinati caratteri extralinguistici, sociali.

Concludo così questo lungo post, augurandomi di avere risposto adeguatamente a chi ha commentato il mio tweet. Grazie a tutti per gli spunti!


* Non avrei nulla da eccepire se la preferenza per la parola tette in qualsiasi ambito venisse presentata come mero vezzo stilistico, però non andrebbe mascherata con motivazioni pseudolinguistiche!

seno /'seno/ s. m. [lat. sĭnus -us "petto, anima, cavità, insenatura, ecc."]. - 1. a. [parte anteriore del tronco umano, spec. con riferimento al corpo femminile: si strinse il figlio al s.] ≈ Ⓣ (anat.) petto. ⇑ Ⓣ (anat.) torace. b. [ciascuno degli organi ghiandolari che nella donna secernono il latte: attaccare il bambino al s. destro] ≈ (lett.) mamma, Ⓣ (anat.) mammella, (region.) minna, (region.) poccia, (lett.) pomo, (fam.) poppa, (region.) sisa, (fam.) tetta, (region.) zinna, (region.) zizza, [se prosperoso] (scherz.) boccia, [parte che emerge da un'ampia scollatura] décolleté, [entrambe le mammelle] petto.

Qui sopra la voce seno dal Vocabolario Sinonimi e Contrari Treccani, con ciascuna alternativa preceduta dalla marca d’uso: sono parole che condividono il significato fondamentale ma che non sono del tutto equivalenti e intercambiabili.

Alcuni degli esempi di cambiamento semantico citati più sopra sono tratti da Il significato delle parole di Marcello Aprile in La vita delle parole. Il lessico dell’italiano tra storia e società, a cura di Giuseppe Antonelli, 2023


Per altri esempi di scelte lessicali non congruenti con la situazione comunicativa, vedi anche:

5 commenti su “È meglio dire seno, tette o mammelle?”

  1. Rob:

    se non si può più dire reggiSENO, qual è la parola corretta? ReggiTETTE? reggiMAMMELLE? Assumiamo che reggiPETTO non si possa dire perchè il petto ce l’hanno anche gli uomini?

  2. Silvia:

    Grazie per aver con la tua competenza e precisione confutato la presa di posizione de il Post. Spero ne prendano atto.
    Ho sempre trovato fuori registro l’uso del termine nei loro articoli e ridicolo, nonché fondamentalmente errato per i motivi che hai ben esposto, il tentativo di giustificazione adottato.( Stavo quasi pensando di abbonarmi solo per protestare.)

  3. Licia:

    @Rob 🤷🏻
    @Silvia, grazie a te. Su Twitter/X ho segnalato questo mio intervento a un paio di persone della redazione del Post ma per il momento nessuna reazione. Se ci sarà la riporterò anche qui.

  4. Pamela:

    Grazie per questo post Lucia, leggo quotidianamente il Post e la scelta di utilizzare “tette” al posto di “seno” mi ha lasciato perplessa fin da subito. Ora che scopro che la loro motivazione per questa scelta si basa su un presupposto sbagliato forse è pure peggio: io sono stata pigra a non controllare le varie definizioni di seno sul vocabolario, ma il fatto che una redazione di giornalisti non sappia usare il vocabolario in modo corretto mi lascia senza parole. Spero che tornino sui loro passi dopo questo tuo articolo!

  5. Valentina:

    Anche io sono una lettrice del Post e ho trovato piuttosto artificiosa la loro spiegazione: per essere il più “naturale” possibile, e quindi vicini alla lingua quotidiana, non usano “seno” basandosi sulla sua etimologia, a cui però nella lingua quotidiana nessuno pensa!

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