Let’s Marche? 🤔

Dopo VeryBello e Open to Meraviglia, una nuova campagna turistica istituzionale che ricorre a uno slogan ibrido in parte inglese e in parte italiano:

logo LET’S MARCHE! IN ITALY, OF COURSE

Let’s Marche! è “il nuovo slogan che accompagnerà la Regione Marche in tutte le sue attività di promozione turistica e internazionalizzazione in Italia e all’estero”. Non mi sembra però una scelta del tutto azzeccata, perlomeno non da un punto di vista linguistico.

In inglese la costruzione let’s si usa per esprimere un suggerimento o una richiesta che riguarda il parlante e una o più altre persone ma, a quanto pare, chi ha ideato lo slogan non ha considerato che deve essere seguita da un verbo. Marche invece è un sostantivo e quindi la frase risulta agrammaticale.

Inoltre, in inglese la regione italiana è nota come the Marche, the Marche region o Le Marche. Senza articolo, Marche è il nome di una delle antiche province della Francia. La scelta di inglobare l’articolo le all’interno di  let’s , operando una risegmentazione arbitraria di let, non mi pare immediatamente riconoscibile al di fuori di un contesto italiano. 

Nelle intenzioni di chi ha ideato lo slogan la formulazione ibrida dovrebbe invece risultare comprensibile ed efficace per un pubblico molto ampio di potenziali turisti italiani e stranieri – non solo anglofoni ma anche chi ricorre all’inglese come lingua di comunicazione tra parlanti non nativi (E2, English as a second language):

Testo: Perché Let’s Marche? “Il logo – racconta l’Agenzia Omnigraf di Osimo che ha realizzato la nuova immagine – esprime la dimensione multisfaccettata delle Marche con un invito e un’esortazione a conoscerle e ad esplorarle nella loro poliedricità. “Let’s Marche” è un’inedita esclamazione, portatrice di un significato espanso, ma subito intuibile dall’utente. La musicalità del suono “Let’s Marche”, unita a una palette originale, si fa tramite di un messaggio chiaro e definito, che cattura l’utente e lo conduce per mano alla scoperta del nostro territorio”. Si è scelta la lingua inglese per comunicare a tutto il mondo utilizzando parole semplici e comprensibili a tutti per una maggiore efficacia del messaggio. 
fonte: Let’s Marche! La nuova immagine del turismo della Regione Marche

Non è però automatico che un messaggio ritenuto “semplice e comprensibile” in un contesto italiano sia efficace anche in ambito E2. Non escluderei, ad esempio, che chi si aspetta un verbo dopo let’s e non ha familiarità con i nomi delle regioni italiane possa interpretare Let’s Marche! come let’s march! nel senso di avanzare a passo di marcia (in Italy, of course?), e quindi che il messaggio non risulti affatto “chiaro e definito”.

Va anche considerato che chi nota l’agrammaticalità della costruzione let’s+nome potrebbe ricavare un’impressione negativa di approssimazione nell’uso dell’inglese che potrebbe ripercuotersi anche nella percezione del resto dell’offerta.

Si può obiettare che nel linguaggio della pubblicità si fa spesso un uso creativo della lingua, ad es. assegnando una nuova categoria grammaticale a una parola esistente, come descritto in Made of Happy, una conversione. È un’opzione efficace se ci si rivolge a parlanti nativi che ammettono maggiore flessibilità e trasgressione delle regole, ma servirebbe invece maggiore cautela se si opera in una lingua diversa dalla propria o ci si rivolge a chi non ne ha piena padronanza, come è il caso di molti parlanti di E2

Inglese farlocco

Lo slogan ibrido Let’s Marche! ha tutte le caratteristiche dell’“inglese farlocco”: brevi comunicazioni o nomi destinati a un pubblico italiano ma formati assemblando parole inglesi poco idiomatiche o addirittura errate o inesistenti però facilmente comprensibili da chi ha solo conoscenze scolastiche della lingua, tanto che ogni spiegazione italiana viene ritenuta superflua.

Per i non italofoni l’effetto però potrebbe essere diverso, come già visto per le all’interno di  let’s , e come mostra anche l’esempio di una delle altre tagline:

testo: BEAUTIFUL LANDS, OF COURSE

Noi italiani capiamo subito perché lands è in corsivo – sappiamo tutti che le Marche sono l’unica regione “al plurale” – ma non si può dare per scontato che questo dettaglio risulti trasparente anche a un pubblico internazionale che non condivide le nostre stesse conoscenze enciclopediche (e che probabilmente si interroga anche sull’accezione specifica di land).

Per un confronto, un esempio di slogan con un messaggio veicolato da espedienti grafici simili ma che risulta subito comprensibile, senza ambiguità, e appare ideato appositamente per un pubblico internazionale:

logo I FEEL SLOVENIA con parola LOVE in grassetto

Temo comunque che questo non sia un caso isolato e che dopo Open to Meraviglia continueremo a vedere altre proposte ibride poco convincenti per la promozione dell’Italia.

Aggiornamento: nei commenti qui sotto un contributo dei creatori della campagna Let’s Marche!, che ringrazio molto per essere intervenuti, e la mia risposta con ulteriori riferimenti.


“Mister Mancini”

Il testimonial della campagna Let’s Marche! è Roberto Mancini, CT della Nazionale Italiana di calcio, presentato come Mister Mancini. Mi auguro che questa formula non venga usata anche in eventuali traduzioni in inglese perché si tratta di un falso amico: in inglese britannico il commissario tecnico non si chiama mister ma [football] manager, altrove head coach.

Se invece mister fosse inteso come appellativo di cortesia (simile al nostro signor), davanti a un cognome solitamente viene abbreviato e non scritto in forma estesa, quindi Mr Mancini in inglese britannico e Mr. Mancini, con il punto, in inglese americano.


Grazie a @tueetterin per lo spunto

9 commenti su “Let’s Marche? 🤔”

  1. Omnigraf Italia Web Specialist Srl:

    Gent.ma sig.ra Corbolante,
    Le scriviamo in riferimento a questo Suo articolo pubblicato ieri sul Suo sito.

    Anzitutto, vogliamo ringraziarla per l’attenzione dedicata alla campagna (ogni parere è lecito, e ogni pubblicità risulta riuscita, se risponde al dictat del “purché se ne parli”); il Suo intervento, assieme a tutti gli altri di questi giorni, contribuisce a diffondere e veicolare la nuova campagna promozionale e questo non può che farci piacere.

    Siamo davvero contenti di questo successo, poiché il nostro logo è stato scelto tra molte altre proposte ed apprezzato in modo trasversale (e ha avuto il placet anche da alcuni esperti di comunicazione anglofoni).

    Comprendiamo le sue perplessità rispetto al messaggio provocatorio che abbiamo lanciato, omettendo un verbo dopo il “let’s”, ma è proprio in quel gap linguistico che sono sottintesi tutti i verbi che compaiono nello spot e che ne racchiudono il significato.

    Senza dubbio, tutti gli articoli che stanno uscendo in proposito in questi giorni ci stanno dando un’ottima visibilità: Let’s Marche ha colpito nel segno, così come desideravamo.

    Quindi, avanti così: LEt’s talk about MARCHE!

    RingraziandoLa per l’attenzione, porgiamo cordiali saluti e l’augurio di una serena giornata.

    Omnigraf Italia Web Specialist srl

  2. Licia:

    @Omnigraf Italia, grazie per questo intervento, apprezzo che abbiate voluto rispondere.

    Nel mio post ho insistito molto sull’aspetto E2 perché immagino che il mercato di riferimento estero per il turismo nelle Marche sia principalmente Italia e Europa (tutti i paesi, non solo quelli anglofoni), e l’inglese E2 ha caratteristiche proprie non valutabili da tutti gli anglofoni che non abbiano conoscenze specifiche (per un paragone: non tutti gli italofoni sono in grado di valutare lessico e testi più adatti per chi impara l’italiano come seconda lingua).

    Anche se in inglese, aggiungo alcuni riferimenti da Cultural Competencies in Globalization, un articolo specialistico che avevo scritto qualche anno fa, rivolto a lettori americani nell’ambito della produzione di software e contenuti destinati a un pubblico globale. Le considerazioni sono valide anche per non anglofoni che usano l’inglese come lingua veicolare per la promozione dei propri prodotti e servizi. Questo estratto descrive alcuni aspetti di un processo denominato standardization reviews.

    Standardization reviews investigate whether product names, textual content, non-verbal messages or visual representations can communicate the same or a similar message to a global audience as meant for the source product, without the need for any adaptation or translation.

    […]

    Standardization reviews cover the needs of E2 users by analyzing grammatical constructions, sentence structure, and terminology to ensure text can be comprehended easily by non-native speakers. Additionally, they purposely verify that all information is culturally congruent and can be processed without ambiguities and without unwanted effects. A typical standardization review might include the following types of questions and evaluations:

    Comprehension: Is the text easy for E2 speakers to understand? Kohl (2008) provides useful checklists that classify writing elements (grammar, sentence structure, and terminology) according to their priority for non-native speakers of English, for human translation, and for machine translation. Standardization reviews should also identify any ambiguities, inconsistencies, metaphors, and incongruities that might be culturally charged (cf. Hofstede’s manifestations). Reviews might also consider if the level of politically correct language (e.g. insistence in using s/he, or continuously switching between male and female pronouns for equal distribution) is acceptable or it might bemuse E2 speakers and mark the text as too American (cf. Katan, 2004).

    Style and register: Is the communication style suitable? Texts that diverge from standard levels of formality or informality, that try to amuse readers or engage them in unusual ways might be misunderstood (cf. Hall’s formal level). From a localizability perspective, such texts might require a considerable amount of rework, and would not be suitable for machine translation.

    Vocabulary: Are all generic, descriptive words understandable? Any American English word that is unfamiliar in other varieties of English? Any lexical ambiguity, polysemy, vagueness or indeterminacy? Specifically, standardization reviews should identify any lexical items that might have additional connotation (e.g. the word duct tape carries cultural meaning in the US, but not elsewhere).
    Google Android versions, named after desserts popular in the United States, provide examples of lexical items that might be challenging in E2. Non-native speakers might not be familiar with words like Cupcake, Donut, Eclair, Froyo, Gingerbread, Honeycomb, Icecream Sandwich, Jellybean, Lollipop, and might puzzle over the correct pronunciation of the less common ones. In an interesting display of cultural awareness, the version initially known as Key Lime Pie was eventually renamed as KitKat on realization that very few users outside of the United States could relate to it, and that the specific reference to the Florida Keys would be lost to most E2 speakers who would probably assume that “key” referred to a tool (Advanced English Learners’ dictionaries, written for E2 speakers, contain frequency and usage information and can prove very useful for standardization reviews of lexical items).

    Terminology: Are all terms, or at least the most visible, strategical ones transparent and unambiguous? Are the concepts they designate well defined? Are they consistent with already existing terms? The terminology of computing and information technology is extremely varied, constantly growing and changing, with no clear line separating specialized and low-end software. Moreover, it is not always well-motivated and rarely occurs in a systematic or controlled way, with several alternative or competing terms often existing for the same concept. In this scenario, it is extremely important that potential issues are identified and resolved as early as possible in the product life cycle.

    The questions just described identify the syntactic, lexical, terminological, and stylistic aspects that can carry cultural connotations. In addition, also situational, diachronical and other sociolinguistic aspects might need to be taken into account, particularly when language contributes to the distinctiveness of a product, such as its naming.

    Osservazioni specifiche sulla comunicazione in inglese destinata a un pubblico globale , con esempi che prendono spunto da campagne pubblicitarie o messaggi che usano l’inglese come lingua veicolare, si possono trovare nel post già citato, Made of Happy, una conversione, e altri in tema:

    s·nowhere o snow·here, una questione di E2?
    Marketing plurilingue: tradurre o non tradurre?
    A Londra, attenzione agli uomini verdi!!
    Amazon Pantry, E2 e vocabolari
    Fischi per fiaschi sui bastioni
    Turisti, E2 e badass
    KISS&RIDE


    Autori citati nel testo:

    Hall. E.T. (1973). The Silent Language. Anchor, New York (reissue edition), cfr. Iceberg della cultura

    Hofstede, G., Hofstede, G. J., and Minkov, M. (2010). Cultures and organizations: Software of the mind. McGraw-Hill, London, cfr. La cultura, software della mente

    Katan, David. 2004. Translating Cultures. An Introduction for Translators, Interpreters and Mediators. St. Jerome Publishing, Manchester. Ora disponibile terza edizione (2021)

    Kohl, J. R. (2008). The global English style guide: writing clear, translatable documentation for a global market. SAS institute.

  3. DA:

    “Noi italiani capiamo subito perché lands è in corsivo – sappiamo tutti che le Marche sono l’unica regione “al plurale” – ma non si può dare per scontato che questo dettaglio risulti trasparente anche a un pubblico internazionale”.
    Io non l’avevo capito subito 🙁
    Grazie come sempre per i tuoi articoli.

  4. alessandro

    Nella spiegazione del logo da parte dell’agenzia c’è anche un «multisfacettata» che immagino calco di «multifaceted» (che in italiano è semplicemente «sfaccettato»).
    Anche la misteriosa «palette originale» meriterebbe un altrettanto originale «secchielle».
    Però, a differenza di «multisfacettato», «palette» è presente nei vocabolari della lingua italiana (come neologismo; ma non sarebbe invece un prestito?).

  5. Licia:

    @DA, grazie 🙂

    @Alessandro ennesimo esempio di scimmiottamento dell’inglese, un fenomeno molto comune in Italia?
    Su palette, non credo si possa più descrivere come neologismo visto che è in uso perlomeno dagli anni ‘90 [aspetto diacronico]; i dizionari lo classificano inoltre come francesismo [origine] ma nell’uso informatico ci arriva dall’inglese.

  6. John Dunn:

    Forse sarebbe stato meglio chiedere l’opinione a un anglofono che non fosse esperto in comunicazione. Io avrei dato a questo slogan un ‘non placet’, perché lo trovo incomprensibile e impronunciabile. Neanche ho capito il senso di ‘lands’, che in questo contesto è comunque scorretto. Finalmente non mi convince il cosiddetto ‘dictat di purché se ne parli’; se non sbaglio, si è parlato molto di Open to Meraviglia …

  7. Emy:

    @Omnigraf Italia Web Specialist srl

    Sono completamente d’accordo con la dott.ssa Corbolante e con John Dunn, temo. Da bilingue italiano-inglese, trovo la vostra comunicazione poco trasparente e ancor meno efficace, sia in italiano sia in inglese. Quel “let’s Marche” che voi dichiarate essere “provocatorio” perché “è proprio in quel gap linguistico che sono sottintesi tutti i verbi che compaiono nello spot e che ne racchiudono il significato” non veicola affatto il significato che pensate, né è chiaro il rimando a “tutti i verbi” dello spot. Let’s Marche è talmente poco chiaro che ho presunto fosse un gioco di parole con l’inglese e col francese marche (marciare), il cui senso tuttavia non mi era per niente chiaro: “marciamo/camminiamo in Italia, of course?” Boh. Nebbia totale.

    Aggiungo anche, a puro titolo informativo, che la locuzione corretta è diktat, non *dictat: è tedesco, non latino! Si pronuncia diktàat, con l’accento sulla seconda sillaba e non *dìktat, alla latina. Passi per il “placet” che orna di cultura classica il vostro messaggio, ma quel *dictat finto-latino sticks out like a sore thumb.
    A proposito: anch’io posso essere definita un’esperta di comunicazione, e certamente sono un’anglofona, ma il mio placet, con tutta la buona volontà, non ve lo posso dare.

    https://www.treccani.it/vocabolario/diktat/ Diktat〈diktàat〉 s. m., ted. – Propriam., dettato; nel linguaggio polit., trattato di pace imposto dai vincitori, senza possibilità di negoziare. Il termine è stato in partic. riferito dai Tedeschi al trattato di pace che concluse la prima guerra mondiale, ed esteso poi anche a indicare il trattato imposto all’Italia dopo la seconda guerra mondiale (per il quale si usa anche il calco ital. dettato), e talora, con sign. più generico, ogni imposizione unilaterale di volontà che esclude la possibilità di negoziati.

    PS: il fatto che si parli di uno slogan pubblicitario, soprattutto qui, in questo blog in cui Licia Corbolante tratta spesso casi di comunicazione in inglese farloc…, ehm, “provocatorio”, non è automaticamente segno della sua efficacia. Il purché se ne parli non vale sempre e comunque.

  8. Emy:

    @Omnigraf Italia Web Specialist Srl

    Ah, mi sfugge in cosa consisterebbe la speciale musicalità di “Let’s Marche”. Forse ha un jingle di sottofondo?

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