Marketing plurilingue: tradurre o non tradurre?


Oggi ero alla Giornata REALITER 2009 dedicata a Terminologia e plurilinguismo nell’economia internazionale. Molti gli interventi interessanti.

Andrea Di Gregorio, ad esempio, ha parlato di strategie traduttive e non-traduttive nella comunicazione al pubblico dei prodotti mass-market in un mercato globale, evidenziando come siano sempre più diffusi i messaggi pubblicitari non tradotti, parzialmente tradotti o addirittura “ritradotti” nella lingua di partenza, in genere l’inglese.

Per decidere se mantenere un messaggio nella lingua originale vengono fatte valutazioni sul target, il tipo di prodotto, il mezzo di comunicazione e il tipo di comunicazione (ad es. se informativa o evocativa, se punta a far riconoscere il prodotto dal cliente o a far sì che il cliente si riconosca nel prodotto, se è più importante quello che si dice o che lo si dica in inglese).

In questi casi è ovviamente essenziale un’analisi del testo inglese per determinare se è facile e distintivo, se contiene termini di origine latina o comunque ben noti e quindi subito riconoscibili, oppure se le parole sono sconosciute ma dal suono comunque accattivante (mi viene in mente Bing, il nuovo motore di ricerca), So where the bloody hell are you?se eventuali giochi di parole sono intraducibili ma comprensibili. Potrebbe essere necessario spiegare comunque il messaggio, anche se indirettamente, come nella campagna So where the bloody hell are you?  di Tourism Australia che nella versione italiana riportava in calce “Che cosa aspetti a venire?”

Andrea Di Gregorio ha sottolineato il ruolo importante del traduttore in queste scelte, anche in caso di non-traduzione, per l’apporto che può dare grazie alla sensibilità sia verso la lingua di partenza che quella di arrivo. Concordo in pieno, specialmente quando si tratta di valutare le conoscenze dell’inglese da parte dell’utente italiano dal punto di vista E2 (English as a Second Language): nel caso della campagna australiana, ad esempio, avrei qualche dubbio che tutti gli italiani che conoscono l’espressione bloody hell la associno a un intercalare tipicamente australiano come può fare chi è di madrelingua inglese.

Aggiornamento 15/12/2009: il testo dell’intervento di Andrea Di Gregorio è ora consultabile nel sito Realiter.

Vedi anche: Terminologia e plurilinguismo – Atti Realiter 2009, Cultural awareness and product development/localization e Competenze nelle valutazioni di localizzabilità in Le competenze linguistiche nella localizzazione.  

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