Le discussioni sulle interferenze dell’inglese sono focalizzate quasi esclusivamente sui prestiti. Viene invece data poca attenzione ai calchi e ai falsi amici (e conseguenti prestiti camuffati) e ancora meno all’adozione, spesso superficiale, di espressioni figurate e metafore dell’inglese.
Esempio da un noto quotidiano:
Sono sicura che vari lettori abbiano interpretato elefante nel significato figurato italiano di persona invadente, maldestra o priva di tatto (come il vecchio zio), e che abbiano associato la stanza alla proverbiale cristalleria in cui l’elefante fa danni.
Ma non è quello che intendeva il giornalista, che invece ha tradotto letteralmente un’espressione idiomatica inglese, in parte fraintendendola, e si è appropriato di uno stereotipo della cultura popolare americana.
The elephant in the room
In inglese the elephant in the room si dice di una questione controversa, di una verità fastidiosa o di un grosso problema del tutto evidenti – presenza ingombrante come quella di un elefante – che però si evita di discutere e quindi di affrontare.
Affermare che l’elefante nella stanza è il problema di cui tutti parlano vuol dire non avere capito il senso dell’espressione inglese.
Vignetta: Wrong Hands
Il calco elefante nella stanza è ormai molto diffuso nei media e nei social, e anche altrove si notano fraintendimenti del senso originale.
C’è ad esempio chi usa l’espressione come alternativa a convitato di pietra, che nel lessico giornalistico è una presenza silenziosa e inquietante che evoca qualcuno o qualcosa che tutti conoscono ma di cui non si parla. Si tratta però di un’entità invisibile (il fantasma all’interno della statua), mentre la presenza dell’elefante è palese e ingombrante.
Pare invece più simile la metafora della mucca nel corridoio, coniata dal politico Pier Luigi Bersani qualche anno fa. Non fa però parte delle conoscenze enciclopediche di tutti, io ad esempio ne ignoravo l’esistenza prima che me la segnalasse @bIasc0.
The drunk uncle
Quasi tutti hanno parenti che eviterebbero volentieri, però la similitudine del vecchio zio che alza troppo il gomito al pranzo di Natale mi sembra un calco “culturale” che riproduce lo stereotipo americano del drunk uncle, il parente ignorante che con i suoi discorsi fuori luogo rovina i pranzi di Thanksgiving, la ricorrenza più importante per le famiglie americane.
Il drunk uncle – o anche crazy uncle – da anni fa parte dell’immaginario collettivo americano. È stato popolarizzato anche da un personaggio del noto programma TV Saturday Night Live (immagine qui sopra).
Ultimamente il drunk uncle è incarnato dal razzista di destra sostenitore di Trump (curiosità: c’era anche un’estensione per il browser Chrome che sostituiva tutte le occorrenze del nome Donald Trump con your drunk uncle at Thanksgiving).
Il drunk uncle rimanda ad aspetti specifici della vita sociale americana che è difficile riprodurre in italiano. Anche se il lettore italiano li conosce grazie a film o libri, in un contesto di politica italiana dubito che l’associazione sia immediata.
Uno zio italiano che alza il gomito non evoca particolari convinzioni politiche come invece il drunk uncle americano. Comunica un’idea generica di persona sgradita e inopportuna che mi sembra comunque inusuale nel contesto “pranzo italiano di Natale”: si mangia molto ma è raro che qualcuno si ubriachi (tra l’altro anche il famigerato politico-elefante è più noto per le abbuffate che per le bevute). Ne risulta quindi una similitudine poco efficace.
Interferenze dell’inglese
Il testo che ho usato come esempio non è una traduzione, quindi è difficile capire se l’uso di metafore non italiane sia una scelta consapevole oppure un’imitazione superficiale e poco ragionata di modelli altrui, forse imputabile a scarsa consapevolezza linguistica.
Mi stupisce anche che quanti hanno visioni apocalittiche sul futuro della lingua italiana minacciata dall’inglese non si occupino mai di questo tipo di interferenze. Eppure possono modificare il lessico più subdolamente dei riconoscibilissimi anglicismi non adattati!
andtrap:
L’affermazione dell’elefante nella stanza penso venga da una fortunata (?) coincidenza tra il (postumo) successo, almeno nel nostro paese, in ambito mediatico del libro di Lakoff (Don’t Think of an Elephant: Know Your Values and Frame the Debate, 2004) il cui titolo è stato tradotto letteralmente nella sua versione italiana.
Tra il calco che dici tu e la fortuna di questo libro che è uno dei testi più citati di scienza politica, penso abbia trovato il modo di affermarsi nel racconto della politica italiana senza che molti siano consapevoli dell’origine e del significato originale.
.mau.:
beh, ero convinto che ormai l’elefante nella stanza (che è appunto una cosa un po’ diversa dal convitato di pietra) fosse entrato anche nel lessico italiano. O magari mi confondo con l’elefante nella cristalleria 🙂
Marcello:
A proposito di prestiti camuffati e calchi malriusciti, nel mio lavoro mi sono reso conto che da una ventina d’anni è diventata popolarissima in Italia la parola implementare, sconosciuta solo 40 anni fa. Solo che implementare, che evidentemente arriva da progetti di ricerca o relazioni bancarie scritte in inglese, è arrivata in maniera parallela in mondi specialistici diversi e da lì si è riversata nel linguaggio comune con significati diversi o addirittura opposti. In ambito informatico/ingengneristico/economico “implementare ” significa “realizzare, rendere operativo un processo o un progetto”. Per motivi misteriosi, in ambito accademico, medico, biologico, sanitario “implementare” è stato interpretato come “migliorare” e ormai ha quel significato
Per cui ho assistito a discussioni surrreali attorno ad un processo di gestione, l’ingegnere segnalava un punto di debolezza, e chi lo gestiva rispondeva che l’avrebbe “implementato”. Al che l’ingegnere “Ma non deve implementare niente, deve migliorare quanto già implementato” “Ma se è già implementato, perché mi dice che devo implementarlo ulteriormente?”.