Ho già descritto come distinguere cicloni, tifoni e uragani: si tratta dello stesso fenomeno atmosferico, il ciclone tropicale, che viene chiamato in modo diverso a seconda della regione (bacino geografico) in cui si verifica. L’estate del 2017 verrà ricordata per le devastazioni causate dagli uragani Harvey in Texas e Irma nei Caraibi e in Florida (aggiornamento: e da Maria nei Caraibi e in particolare a Porto Rico).
I nomi propri dei cicloni tropicali
Ai cicloni tropicali sono associati nomi di persona per motivi pratici: non sono ambigui e sono molto più facili da capire e memorizzare di numeri, codici o coordinate geografiche. Grazie alla personificazione viene prestata più attenzione e c’è maggiore percezione del rischio. Si riesce così a fare una comunicazione più efficace, che è fondamentale per allertare la popolazione nelle emergenze.
I nomi usati per ogni bacino geografico sono decisi dalla World Meteorological Organization e da altre organizzazioni che compilano e determinano l’uso di apposite liste.
I nomi degli uragani atlantici
I nomi di persona dati agli uragani nei Caraibi, Golfo del Messico e oceano Atlantico settentrionale sono tratti da una di sei liste annuali di 21 nomi. Sono riciclate ogni sei anni e sono gestite dal National Hurricane Center statunitense.
I 21 nomi sono alternativamente maschili e femminili e in ordine alfabetico (sono escluse le iniziali Q, U, X, Y e Z, usate invece in altre liste). Se in un anno ci sono più di 21 uragani e viene esaurita la lista, i nomi aggiuntivi necessari vengono presi dall’alfabeto greco.
Nel 2017 finora Arlene, Bret, Cindy, Don, Emily, Franklin e Gert hanno preceduto Harvey, adesso c’è Irma e si sono già formati José e Katia.
Si può però già dare per scontato che fra sei anni, nel 2023, non riappariranno altri uragani Harvey o Irma. Se un ciclone tropicale causa morti e danni ingenti, infatti, il nome è considerato inappropriato, viene eliminato dalla lista e sostituito. Hanno fatto questa fine i famigerati Katrina e Sandy e gli altri elencati in Retired Atlantic Names by Year.
Questioni di genere (e di sessismo)
Gli uragani hanno avuto nomi esclusivamente femminili fino al 1979, quando si è deciso di alternarli a nomi maschili.
Nei media americani è spesso citato uno studio del 2014 secondo il quale gli uragani con i nomi femminili causerebbero più morti e danni perché nelle zone soggette al fenomeno la gente dà minore importanza alle donne e così anche agli uragani “femminili”. Questo atteggiamento porterebbe a prendere meno sul serio gli avvertimenti e quindi farebbe affrontare l’emergenza impreparati.
Lo studio però si è rivelato inaffidabile, come ha spiegato il Washington Post in Revision: Female-named hurricanes are most likely not deadlier than male hurricanes.
Irmageddon
Aggiungo che l’uragano Irma è stato soprannominato Irmageddon. Si riconosce l’elemento suffissale –(ma)geddon, un libfix da armageddon usato per descrivere in modo iperbolico situazioni estreme e potenzialmente catastrofiche. C’è anche chi ha rispolverato frankenstorm, neologismo coniato nel 2012 per l’uragano Sandy e già descritto in Parole mostruose!
Cicloni extratropicali europei
Dal 2015 anche in Europa vengono usati nomi propri femminili e maschili, in alternanza, per i cicloni extratropicali che colpiscono le isole britanniche: dettagli in Come evitare il raggelante Spring Storm ed elenco dei nomi in UK Storm Centre.
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Vedi anche:
🌀 Cicloni, tifoni e uragani (differenze e origine del nomi)
🌀 Mascotte Expo 2015 e nomi internazionali (genere grammaticale e percezione)
Aggiornamento settembre 2018 – In America è ricominciata la stagione degli uragani e sta già facendo parlare di sé l’uragano Florence, che si teme possa essere devastante. Per gli eventuali altri uragani del 2018 verranno usati i nomi Gordon, Helene, Isaac, Joyce, Kirk, Leslie, Michael, Nadine…
Nautilus:
Lo studio in questione (e tutto quel che ne è seguito) rivela un aspetto fondamentale della scienza. In ambito scientifico – dove ovviamente gli errori ci sono e ci continueranno a essere – questi hanno breve durata; prima o poi se c’è una falla salterà fuori.
Così, infatti, è stato anche in questo caso.
Tra l’altro a ben guardare se si fosse seguito un processo di peer review meno superficiale (gli errori statistici commessi dagli autori sono piuttosto banali) quel pezzo non sarebbe nemmeno andato in pubblicazione.