Genere e linguaggio

Titoli professionali e linguaggio sessista

Oggi si è tenuto un convegno su Genere e linguaggio ed è recente la notizia delle linee guida del Comune di Firenze per evitare il linguaggio sessista, in particolare per quel che riguarda i titoli professionali o le cariche istituzionali di donne (cfr. È l’ora della sindaca e dell’architetta e Siete pronti a dire sindaca?).

simboli maschile e femminileMi rendo conto di essere in controtendenza, in quanto donna, ma queste iniziative non mi convincono molto. Non è stabilendo delle regole artificiali (in alcuni casi abbastanza astruse) che verrà eliminata la discriminazione: purtroppo rimarranno mille altri modi per continuare a farla, anche parlando politicamente corretto.

Maschile con valenza neutra

A parecchie donne in professioni di genere finora maschile ho provato a chiedere come preferiscono essere chiamate, se avvocata o avvocatessa o ingegnera, e le dirette interessate hanno risposto tutte, senza esitazione, avvocato e ingegnere.

Il mio non è un campione significativo e bisognerebbe capire meglio il motivo della scelta*, però la mia sensazione è che le forme femminili “forzate” tendano a sottolineare che in quel ruolo c’è una donna, come se fosse una cosa insolita e inaspettata, mentre il sesso di chi fa cosa dovrebbe essere irrilevante. È per questo motivo che preferisco l’uso del maschile con valenza neutra (cfr. le linee guida del Parlamento europeo per l’italiano non più disponibili).

Anche gli uomini al femminile

Mi trovo d’accordo con Lorenzo Renzi che nel libro Come cambia la lingua. L’italiano in movimento afferma che la lotta al sessismo linguistico sembra basarsi su basi teoriche fragili. Se dire che architetto è maschile e discrimina le donne, si chiede Renzi, non è altrettanto assurdo dire che persona è femminile e discrimina gli uomini?

Fa quindi notare che in italiano esistono anche parole di genere femminile che hanno referente maschile, ad es. la guardia e la guida, ma nessuno le trova discriminatorie, e che anche agli uomini si dà del lei, con l’accordo che a lungo è stato obbligatorio al femminile, però nei dibattiti sul sessimo linguistico non se ne parla mai.

Cambiamenti linguistici

Renzi conclude che “la lingua è in movimento, e con le raccomandazioni si rischia di voler muovere quello che si muove già, magari in qualche caso in direzione inversa, e perciò con grande sforzo e poco successo”.
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Aggiornamenti

Ho aggiunto altre osservazioni in nuovi post:

Genere grammaticale, naturale e sociale (distinzioni su cui spesso si fa confusione)
Giudici e giudichesse (forme femminili dispregiative)
Il bonifico, un’operazione maschile (altri tipi di sessismo linguistico)
Donne e grammatica (i nomi di professione usati al maschile in realtà sono pochissimi).

Intanto continua il mio sondaggio: da quando ho scritto questo post, ogni volta che incontro una avv., ing. o arch. le chiedo come preferisce essere chiamata. Finora tutte le dirette interessate hanno risposto con la forma maschile, spesso esprimendo fastidio per il tentativo, esterno alle loro professioni, di imporre forme femminili.


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* Questo post ripropone un commento che ho fatto in Una lingua per le donne.
Concordo con Alessandra e Francesca che bisognerebbe anche distinguere tra aspetti prettamente linguistici e altri sociologici o psicologici. 
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15 commenti su “Genere e linguaggio”

  1. Mara:

    Aggiungi anche me al tuo sondaggio casalingo. Nonostante esista il termine traduttrice, io mi definisco traduttore. Sono per il maschile con valenza neutra. È importante quello che faccio, non di che sesso sono.

    Sono anche d’accordo che il linguaggio è importante ma il problema è ben più a fondo. 🙂

  2. Francesca Cosi:

    Ciao Licia,
    grazie per i tuoi post, sempre stimolanti!

    Come accennavo con Alessandra anche sul nostro blog Parole Aperte, nella discussione su genere e linguaggio si sovrappongono due livelli: quello puramente grammaticale per cui in buona parte dei casi, ma non in tutti (come hai dimostrato citando gli esempi di Renzi), per le professioni tradizionalmente maschili si usano sostantivi al maschile (quindi “sindaca” non esiste) e quello sociologico che una volta coincideva con quello linguistico (i sindaci erano tutti maschi), ma oggi non più.

    In Italia ci sono ormai tante sindache, ma manca la parola per nominarle e soprattutto manca ancora in tante persone la consapevolezza che le donne siano in grado di svolgere anche i lavori tradizionalmente maschili.
    Perciò, dal nostro punto di vista, ben vengano parole come “sindaca”, “ministra” e “avvocata”, se possono servire ad aumentare la consapevolezza della professionalità femminile, o almeno a stimolare una riflessione.

    Grazie ancora e a presto!

  3. Licia:

    Grazie a tutti per i commenti. Sarà interessante vedere se, fra qualche anno, i parlanti avranno privilegiato una maggiore corrispondenza di genere grammaticale e genere naturale, come suggerito dalle linee guida, oppure avranno mantenuto la situazione attuale.

  4. Rose:

    Pensavo che esistessero sindachessa e avvocatessa… come dottoressa, del resto. Per gli altri termini, mi sembra più dignitosa la forma maschile.

  5. Licia:

    Aggiungo un dettaglio che mi pare interessante. Ho parlato di questo argomento con un avvocato e un magistrato, entrambi uomini, che mi hanno confermato che nel loro ambito sia uomini che donne usano il maschile con valenza neutra avvocato con riferimento al ruolo (il sesso della persona è irrilevante). Quando si dice avvocatessa, in genere è per questioni non legate alla professione, ad es. “l’hai vista l’avvocatessa XYZ?” segnala che si vuole commentare l’aspetto fisico di XYZ o comunque il suo essere donna – in questo caso il sesso della persona diventa rilevante.

  6. Giuliano Caruso:

    Non sono d’accordo col senso del post.
    Sindaca, dottora e architetta (benché quest’ultimo si possa prestare al doppio senso) sono ormai necessari, poiché la loro flessione solo al maschile può indurre una bambina a pensare che tali professioni siano solo per maschi, e quindi introiettare uno stereotipo e mortificare le proprie possibilità.
    E’ vero che oggi il messaggio arriva da molte parti, e quindi il solo aspetto linguistico potrebbe essere non fondamentale, ma io penso che sia comunque un bel (bellissimo) passo avanti, se fatto tutti insieme.
    E non nascondo che anche io potrei avere problemi ad adattarmici, ma sono pronto alla sfida.

  7. Giuliano Caruso:

    E comunque mai in -essa.
    Sindaca, avvocata, dottora, ingegnera (come infermiera, ad esempio), professora, ministra.
    Come già esistono archeologa, geologa, biologa, ginecologa, e tutti i -ga.

  8. beatrice:

    Buonasera,
    in riferimento a questo articolo e all’altro altrettanto interessante pubblicato su parole aperte, mi permetto una riflessione.
    Sono d’accordo sul fatto che questi appellativi e titoli al femminile risultano una forzatura nella nostra lingua, per il “semplice” motivo che non siamo abituati a sentirli. Sono anche d’accordo sulla considerazione che regolamenti calati dall’alto non risolvono la discriminazione di genere. Non mi trovo, però, d’accordo sull’ultima parte dell’articolo. In questi casi, non si può parlare di maschile neutro. Non è neutro proprio perché si tratta di una consuetudine linguistica radicatasi perché alle donne sono state precluse alcune – meglio, molte – carriere. Maestra e professoressa sono, infatti, di uso comune. Per questo secondo me il confronto con il femminile generico non regge: “persona” non è al femminile perché la società permetteva solo alle donne di essere persone!

  9. Licia:

    Grazie per i commenti. Aggiungo qualche altra considerazione, del tutto personale.

    Nella discussione, bisognerebbe innanzitutto evitare di fare confusione tra il genere grammaticale (una categoria morfologica) e il genere naturale o reale (il sesso di una persona o di un animale), una differenza che forse non è del tutto chiara.

    In italiano, come in altre lingue, il genere grammaticale è una convenzione. Solo nel caso di esseri umani e animali genere grammaticale e genere naturale di solito coincidono, ma non è una regola, come dimostrano, ad esempio, parole come persona, a cui non associamo alcun sesso (potremmo dire che sono “neutre”) o sentinella, guardia, scorta, recluta, spia, che identificano ruoli tradizionalmente maschili, o animali come balena, tigre, zebra, renna, scimmia, aquila, pantera, che ovviamente non sono tutte femmine (e se dico Carlo è una volpe, non metto certo in dubbio la sua virilità).

    I veri problemi di discriminazione riguardano invece il cosiddetto genere sociale, ossia gli stereotipi e le aspettative di tipo sociale e culturale associati al ruolo dell’uomo e della donna ed espressi tramite atteggiamenti, comportamenti, trattamenti, opportunità, retribuzioni ecc.

    Proprio per questo affermazioni come “ciò che non si dice non esiste” o “L’oscuramento linguistico della figura professionale e istituzionale femminile ha come conseguenza la sua non-comunicazione e, in sostanza, la sua ‘negazione’” non mi convincono. Forse potevano avere più senso qualche decina di anni fa (le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua di Alma Sabatini sono del 1987 e già allora arrivavano con parecchi anni di ritardo) ma siamo nel 2012 e non mi sembra che al giorno d’oggi manchino esempi di ingegneri, architetti, giudici, pretori, questori o magistrati con cromosomi XX, nonostante le carenze linguistiche. Se c’è qualcuno che non se ne è ancora accorto o se c’è chi pensa che le donne non siano in grado di ricoprire questi ruoli, dubito che possa bastare la desinenza di una parola a far acquisire consapevolezza o a far cambiare idea (anzi, le forme insolite potrebbero addirittura rafforzare gli stereotipi), e dubito che la morfologia possa davvero influenzare le scelte di una bambina del XXI secolo.

    Come dicevo sopra, sarà interessante vedere quale soluzione verrà privilegiata dalla comunità dei parlanti. Nel frattempo, un suggerimento per chi preferisce sindaca e avvocata perché ritiene che una piena corrispondenza di genere grammaticale e di genere naturale possa evitare discriminazioni e portare a cambiamenti di genere sociale: per coerenza, dovrebbe anche dire il guardio, lo scorto, il guido, Carlo è un volpo e soprattutto iniziare a dare del lui. 🙂

    PS – Un aspetto per me curioso del dibattito sul sessismo linguistico è l’impressione che le donne che spingono maggiormente verso questi cambiamenti lessicali ricoprano principalmente ruoli per cui c’è già un nome di genere femminile (linguiste, giornaliste, ricercatrici, filosofe, sociologhe, psicologhe ecc.) e quindi non siano “colpite” in primissima persona. Mi piacerebbe che fosse dato più spazio alle dirette interessate: chi ha incarichi istituzionali e/o chi si trova in un ruolo che tradizionalmente era maschile e denominato come tale. Uomini astenersi!

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