Intelligenza artificiale in breve: IA o AI?

È iniziata la stagione delle parole dell’anno e il dizionario britannico Collins per il 2023 ha scelto AI, acronimo di artificial intelligence:

Immagine con definizione: AI, “abbreviation for artificial intelligence: the modelling of human mental functions by computer programs”

Un’AI e due artificial intelligence

La definizione usata per la parola dell’anno (immagine qui sopra) evidenzia una peculiarità dell’abbreviazione AI che nell’uso contemporaneo la differenzia dalla forma estesa: è usata quasi esclusivamente solo in una delle due accezioni che invece ha la locuzione artificial intelligence, qui nelle definizioni di Collins Dictionary* online:

1 the modelling of human mental functions by computer programs  

2 the study of this

Il significato prevalente e più recente di artificial intelligence, 1, indica la riproduzione e l’imitazione di funzioni mentali umane da parte di sistemi informatici, un insieme di funzionalità, procedure e prestazioni. È questa accezione che nella forma abbreviata AI è stata scelta come parola dell’anno.

L’espressione artificial intelligence nasce però nel 1956 con un altro significato, inizialmente unico, 2, di disciplina, settore di studio e di ricerca che si occupa di 1. A quanto pare per questa accezione si ricorre sempre meno all’acronimo AI, ormai associato per lo più a 1.

Incongruenze italiane: IA e AI

Le stesse tendenze dell’inglese si osservano anche in italiano per il calco intelligenza artificiale e per l’abbreviazione, usata principalmente nell’accezione 1 di funzionalità e prestazioni. 

Nell’uso dell’abbreviazione si osservano però vistose incongruenze: si ricorre infatti indifferentemente sia all’acronimo italiano, IA, che all’acronimo inglese, AI, spesso nello stesso contesto come in questo esempio dal sito di IBM:

Cos’è l'intelligenza artificiale (AI)? L’intelligenza artificiale sfrutta computer e macchine per imitare le capacità decisionali e di risoluzione dei problemi della mente umana. Iscriviti per ricevere gli aggiornamento sull’IA 

Le incongruenze aumentano nella pronuncia: ho notato che AI viene pronunciato sia all’inglese, “ei ai”, che all’italiana, “a i”.

Non capisco il senso dell’alternanza tra le due forme, spiegabile solo con scarsa attenzione ai dettagli. Non riesco a pensare a nessuna giustificazione per l’acronimo inglese: intelligenza artificialeIA!

L’evoluzione di artificial intelligence 

Artificial intelligence nell’accezione originale 2 (disciplina) è una parola d’autore di cui si conosce con esattezza la fonte: è stata coniata dallo scienziato cognitivo e informatico americano John McCarthy e usata per la prima volta nel 1956 durante un convegno passato alla storia come “seminario di Dartmouth”.

L’accezione 1 (funzionalità e prestazioni), nata per metonimia, era stata a lungo osteggiata dagli esperti del settore, come in questo esempio dalla voce Intelligenza artificiale dell’Enciclopedia Italiana Treccani del 1992:

L’i.a. è innanzitutto la denominazione di una disciplina e non va, quindi, confusa con l’ipotetica connotazione della funzionalità complessa sviluppata in una macchina. Questa precisazione è molto importante perché nella letteratura giornalistica di divulgazione spesso viene indicata con la dizione “intelligenza artificiale” la funzione avanzata di elaborazione che la macchina è in grado di compiere. Viene cioè attribuito, alla stessa dizione, un errato significato, che si discosta dalla denominazione scientifica accettata concordemente dalla comunità internazionale, la quale individua, come si è detto, una disciplina e non talune prestazioni, sia pur avanzate, della macchina.

Nel XXI secolo però l’accezione 1 è diventata predominante e non può più essere respinta né ignorata: i dizionari italiani che ancora non la contemplano dovranno aggiornare le loro voci.

Un’ulteriore differenza tra le due accezioni si osserva nelle associazioni semantiche, nelle collocazioni (le altre parole con cui un elemento lessicale tende a presentarsi assieme) e nelle colligazioni (le strutture sintattiche in cui una parola appare più frequentemente), che non coincidono. Solo nell’accezione 1 l’IA, antropomorficamente, apprende, contestualizza, si adatta, crea, genera, prende decisioni, migliora la nostra vita, è una minaccia, ci dominerà, va frenata

Vignetta con coppia seduta sul divano. Donna guarda laptop e dice “Artificial intelligence could take over the world”. Uomo che legge giornale con titoli su guerre, teorie complottiste, dittature e negazionismo climatico, risponde “Maybe it should”
Vignetta: Mike Smith

Infine, si può notare che nella cultura popolare i termini artificial intelligence e intelligenza artificiale hanno subito una diluizione di significato che li ha trasformati in concetti generici. È un processo che prende il nome di determinologizzazione.


Un articolo di Collins Dictionary associato alla parola dell’anno, A beginner’s guide to the language of AI, descrive i termini correlati algorithm, deep learning, knowledge base, large language model (LLM), natural language processing (NLP), parameter, prompt e token – in italiano algoritmo, apprendimento profondo, base di conoscenza, modello linguistico di grandi dimensioni, elaborazione del linguaggio naturale, parametro, prompt e token. 


* Per un confronto diacronico, la voce artificial intelligence dell’edizione 1994 di Collins Dictionary:

the study of the modelling of human mental functions by computer programs

Nell’edizione online citata sopra [2023], stessa formulazione per l’attuale accezione 2, su cui è basata anche l’accezione 1 che però è stata anteposta perché prevalente.

8 commenti su “Intelligenza artificiale in breve: IA o AI?”

  1. Alberto:

    La giustificazione per l’acronimo inglese si può trovare nell’ignoranza, nella sciatteria e nella sottomissione ideologica agli USA (anzi, ai S.U.A.) e agli anglismi. A ben pochi ormai interessa la chiarezza espositiva e il rispetto per la propria lingua.

  2. Licia:

    @Alberto grazie per il commento ma per favore qui rimaniamo in ambito linguistico ed evitiamo prese di posizione del tutto ingiustificate come “sottomissione ideologica”.

  3. Giulio:

    Purtroppo Alberto ha ragione e non è solo una questione di sottomissione ideologica: l’inglese è lingua internazionale che ha sostituito il latino nell’àmbito delle discipline scientifiche qualche secolo fa, passaggio facilitato di sicuro dall’imperialismo anglosassone (poi sostituito da quello angloamericano) diffuso. Ma il pasticcio nell’utilizzo incongruente degli acronimi stranieri e autoctoni, per esempio AI in luogo di IA, è forse dettato da pigrizia e scarsa attenzione nell’elaborare la forma corretta del testo italiano; infatti il processo della scrittura creativa richiede più tempo ed energie, in un mondo, quello dell’informazione digitale, che si gioca sul filo dei millisecondi e chi scrive magari vuole ostentare la sua conoscenza professionale della lingua inglese: ecco perché sono “tutti pazzi per l’inglaliano”!

  4. Licia:

    @Giulio, grazie per il commento ma da un’affermazione come passaggio facilitato di sicuro dall’imperialismo anglosassone (poi sostituito da quello angloamericano) diffuso mi aspetto dei dati o riferimenti che supportino questa tesi, altrimenti anche questa rimane una presa di posizione ideologica.

  5. Giulio:

    @Licia, ha ragione, io non sono un linguista o uno storico, tuttavia mi corregga se sbaglio: il latino si è imposto con l’Impero Romano e l’arabo sull’onda delle conquiste islamiche, oppure no? L’inglese è una lingua germanica ma ha risentito dell’influenza francese con Guglielmo il conquistatore e via discorrendo, gli esempi non mancano anche per quanto riguarda il dominio e la conseguente diffusione dell’inglese nel Nord America, in Oceania, Africa, Asia, ecc.

  6. Licia:

    @Giulio, latino e arabo però sono lingue (sistemi linguistici), mentre l’influenza dell’inglese sull’italiano è limitata quasi esclusivamente al lessico, che è la parte più superficiale della lingua: la lingua inglese non sta sostituendo la lingua italiana, continuiamo tutti a parlare italiano. In alcuni settori la presenza di lessico inglese è sicuramente molto elevata, ma non nell’uso quotidiano. Eviterei quindi riferimenti al colonialismo per descrivere le interferenze dell’inglese sulle altre lingue europee (non solo l’italiano: è un fenomeno comune!). Cfr. L’erba dei vicini d’Oltralpe non è sempre greener! e Davvero fra 80 anni non si parlerà più italiano?.

  7. Giulio:

    @Licia. Sono d’accordo con lei, è giusto fare quelle delle distinzioni. Dicevo che la sottomissione ideologica non è la componente principale del fenomeno di annullamento di una lingua, ma è pur sempre presente anche oggi.
    Poi occorre cercare le cause che determinano la produzione di un testo letterario povero dal punto di vista morfologico: a causa della competizione negli spazi digitali, è richiesta una produzione in serie frenetica di articoli, documenti, tesi, atti di convegno, ecc., a discapito della qualità. Ecco perché si leggono locuzioni del tipo “AI generativa…”, “intelligenza artificiale (AI)…”, scritte anche da laureati e laureandi in discipline tecnico-scientifiche. L’acronimo AI sta prendendo il sopravvento su IA, per quale motivo? Solo per negligenza di chi scrive? Siamo all’inizio di questo fenomeno, l’espulsione di una lingua dal mondo digitale (ma non solo), “agevolato” da leggi comunitarie incompatibili con i patrimoni culturali regionali. D’altronde è storia recente che taluni corsi di laurea magistrale si debbano tenere solo in lingua inglese, forse per rispettare meglio il diritto allo studio? Non credo. Infine, propongo a sostegno della mia tesi un altro storico evento che ha riguardato una lingua antica: il gaelico, “oggetto di una lenta erosione da parte dell’inglese, favorita da leggi repressive e da massicce emigrazioni” (Treccani).

  8. Licia:

    @Giulio, grazie per il commento dettagliato, mi fa sempre piacere lo scambio di opinioni con chi ha punti di vista diversi dal mio. Ribadisco però che bisogna fare attenzione a non fare confusione tra lingua e lessico, e temo che lo sia l’esempio dell’acronimo AI, singola parola, per affermare che si tratta di un segnale del fenomeno di espulsione di una lingua dal mondo digitale (ma non solo), “agevolato” da leggi comunitarie incompatibili con i patrimoni culturali regionali.

    Mi interesserebbe anche capire quali sono le leggi comunitarie (Unione europea?) a cui fa riferimento, visto che sarebbero contrarie al multilinguismo promosso invece dalle istituzioni europee.

    Mi ripropongo di tornare su questo argomento con un post più dettagliato, intanto grazie per gli spunti.

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