Io buo, tu bui, lui bua: il verbo buare

buu buu

Ho sentito per la prima volta il verbo onomatopeico buare (”fare buu per esprimere disapprovazione”) in un’intervista al sovraintendente della Scala, l’austriaco Alexander Pereira, che rispondendo in italiano l’aveva usato ripetutamente.

Pensavo fosse un suo calco del tedesco buhen o anche dell’inglese boo, e invece ho scoperto che in italiano il verbo buare esiste almeno da una ventina d’anni, però non tutti i dizionari lo riportano perché non è molto usato al di fuori della lirica.

Due esempi visti oggi in Alla Scala va in scena una vera gazzarra: “buuu” agli artisti e lotta tra loggione e galleria (La Stampa):

L’inferno si è infatti puntualmente scatenato nel finale. I più buati sono stati Chailly e la Malfi, per la verità non si capisce bene con quali motivazioni. […]  Del tizio, rossissimo e sudatissimo, che inveiva rivolto all’insù si è detto. Degli altri che buavano rivolti all’ingiù, anche.

Il verbo buare è sicuramente efficace però non credo riuscirei ad usarlo perché per me ha una connotazione infantile: mi fa pensare alla bua.

Vedi anche: La parola ai fantasmi! (le differenze tra le interiezioni onomatopeiche uuuh, e buu).

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