Quando un alfabeto non basta (La parola del traduttore) è un intervento molto interessante di Antonietta Pastore, traduttrice dal giapponese, che fa vari esempi delle connotazioni culturali legate all’uso e all’impatto visivo dei tre diversi sistemi di scrittura giapponesi, kanji, hiragana e katakana, e delle difficoltà di trasmetterle in un’altra lingua.
Nomi propri giapponesi e “ordine orientale”
Si può notare anche un altro dettaglio: i nomi propri citati nel testo sono presentati con il cognome seguito dal nome, ad es. Murakami Haruki e non Haruki Murakami come siamo più abituati a leggere in italiano e in altre lingue.
Chi si occupa di internazionalizzazione sa che si tratta del cosiddetto Eastern [name] order, l’ordine cognome+nome seguito in molti paesi asiatici, mentre nei paesi occidentali si privilegia nome+cognome (non a caso in inglese si chiamano anche first name e last name). In Ungheria, l’eccezione europea più nota, si segue invece l’ordine “orientale”, che è anche quello dell’uso burocratico italiano.
Diversità culturale o adattamento?
Ho conosciuto vari giapponesi, cinesi e coreani, che si sono sempre presentati con nome+cognome perché la lingua di interazione era l’inglese. Forse per questo non mi convince del tutto la scelta di alcune case editrici italiane di mantenere l’ordine originale per autori e personaggi giapponesi.
Immagino si voglia rispettare la diversità culturale ma forse così si rischia di creare confusione nei lettori che non sempre sapranno distinguere i nomi dai cognomi. Ad esempio, se leggessi di un “signor Sato Ichiro” a cui ci si rivolge chiamandolo “signor Sato”, in mancanza di spiegazioni potrei trarre conclusioni non previste sui rapporti tra le persone (anche in italiano: “signor Mario” e “signor Rossi” hanno connotazioni diverse). Va infatti tenuto conto che i giapponesi raramente si fanno chiamare per nome, riservato a una strettissima cerchia di persone, e usano quasi esclusivamente il cognome: se non si sa distinguere, si rischia di rivolgersi loro in modo inappropriato.
Localizzazione
Nella localizzazione del software invece non ci sono dubbi: vanno adottate le convenzioni locali, ad es. modificando l’ordine dei campi in moduli e finestre di dialogo, come nel classico esempio degli indirizzi americani e in quelli italiani con la posizione diversa del codice postale (ZIP code).
Aggiornamento maggio 2019 – Con l’avvento della nuova era imperiale, il ministro degli Esteri giapponese ha dichiarato di voler chiedere ai media internazionali di usare la convenzione giapponese per i nomi propri giapponesi: dettagli in Prima il cognome e poi il nome, chiede il Giappone.
Vedi anche: Elenchi telefonici, titoli e localizzazione.
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linus:
Ma come mai, senza saperlo, Murakami Haruki mi sapeva di orientale e Haruki Murakami di “traduzione” occidentale? E perchè sapevo istintivamente che Haruki è il nome e Murakami il cognome, prima che tu lo spiegassi e senza saperlo davvero, e che quindi avevo intuito la regola anche se non razionalmente?
Licia:
@linus, forse il numero di sillabe? Ho provato a pensare ai giapponesi che conosco e la maggior parte ha il nome di tre sillabe e il cognome di quattro. Forse i miei sono dati del tutto casuali (infatti Sato Ichiro ha il cognome più corto del nome), però il cervello umano, inconsapevolmente o meno, cerca sempre di trovare dei modelli o schemi logici (pattern) anche dove non ci sono!
Comunque ora devi passare al secondo livello e decidere quali nomi sono maschili e quali femminili, ad esempio, Kawakami Hiromi?!? 😉
Rose:
Mi suonava femminile, e lo è. Tuttavia, ho visto un elenco di nomi femminili giapponesi e ho notato che possono finire con qualunque vocale. Inoltre, pare che attualmente alcuni nomi vengano usati indifferentemente sia al maschile che al femminile. Ho letto anche che i Giapponesi, nella scelta del nome, si preoccupano del kanji che ne risulta, cioè dei caratteri. Dell’aspetto estetico del nome, voglio dire. Interessante, vero?
Licia:
@Rose, è davvero una cultura completamente diversa dalla nostra e molto affascinante proprio per questo. Se poi penso alle giapponesi che conosco, hanno tutte un senso estetico incredibile.
Silvia Pareschi:
Anche a me convince poco questa scelta, sopratutto perché sembra che non sia stata compiuta per tutti gli autori giapponesi, ma solo per alcuni, creando così una certa confusione. Anch’io conosco giapponesi che si presentano “all’occidentale” se parlano con un occidentale, e immagino che farebbe così anche Murakami, noto per essere il più “occidentale” degli autori giapponesi.
Licia:
@Silvia, a me fa uno strano effetto che i dettagli delle due copertine che ho messo qui sopra siano da due edizioni della stessa traduzione. Murakami è famoso e quindi nel suo caso non si rischia di fare confusione, ma come si comporteranno ad es. nelle librerie con gli autori meno noti, considerando che di solito i libri sono ordinati in ordine alfabetico per cognome dell’autore? Devono verificare autore per autore?
Consiglio per chi vuole leggere letteratura giapponese in Italia: comprare il libro online oppure un ebook, per evitare problemi!
Licia:
In un commento a Quando un alfabeto non basta (La parola al traduttore) avevo chiesto se la convenzione “giapponese” fosse facilmente riconoscibile oppure se in alcuni contesti si potessero creare situazioni che il lettore italiano, abituato a nome+cognome, avrebbe potuto trovare ambigue.
Ecco la risposta di Antonietta Pastore:
Rispondo a Licia riguardo al problema dell’ordine in cui scrivere i nomi giapponesi. In Giappone si mette sempre prima il cognome e poi il nome proprio. In Occidente si tende sempre più a rispettare questa regola, soprattutto nelle traduzioni di testi originali. Il fatto che molti giornalisti, citando un autore, adottino invece l’ordine contrario – nome e cognome – crea però confusione, col risultato che i lettori finiscono col non sapere come chiamare gli scrittori. Si spera quindi che a poco a poco tutti, citando un nome giapponese, si uniformino all’usanza che vige in Giappone: cognome e nome. Quindi Murakami Haruki, Oe Kenzaburo, Kirino Natsuo, Ogawa Yoko…
Grazie dell’attenzione, Antonietta Pastore
Aggiungo anche il link alla traduzione inglese del brano di Hiromi Kawakami / Kawakami Hiromi che ha dato lo spunto per l’intervento in La parola al traduttore: The Moon and the Batteries, tradotto da Allison Markin Powell e apparso in GRANTA.
cartoni&caroni:
si capisce benissimo quale è il nome e quale il cognome…