Notizia con titoli a effetto ma poco accurati su un emendamento in tema alimentare approvato dal Parlamento europeo l’8 ottobre 2025:

L’approvazione di un emendamento al Parlamento europeo è solo un passaggio dell’iter per la sua entrata in vigore, quindi per ora non cambia nulla, a parte la grande visibilità a una mossa politica mascherata da protezione dei consumatori.
Nelle notizie riportate dai media noto anche alcune ambiguità linguistiche e scarsa attenzione ad aspetti terminologici che invece mi sembrano rilevanti.
In sintesi: l’emendamento riguarda l’uso di alcune parole comuni “carnee” come salsiccia, burger e bistecca che da tempo vengono frequentemente usate per denominare succedanei vegetali e a base di pesce. Si propone di non consentirne più l’uso in ambito produttivo, commerciale e promozionale, e cioè in settori regolamentati. L’esclusione non riguarderebbe invece in alcun modo tutti gli altri contesti e quindi chi cucina, descrive o consuma prodotti vegetariani e vegani: a differenza di quanto fanno supporre alcuni media, si potrà continuare a usare qualsiasi nome in accezione “vegetale” senza subire alcuna impraticabile restrizione.
Di certo l’emendamento non “rivoluzionerà la comunicazione nel mondo della cucina green”, come ho letto: qualsiasi cuoco potrà sempre proporre tartare di verdure, cotolette di melanzana, bistecche di funghi, carpaccio di barbabietola e altri piatti che prendono ispirazione dalla carne ma non la contengono.
L’eventuale restrizione riguarderà infatti solo le classificazioni merceologiche – denominazione, etichettatura e commercializzazione di prodotti alimentari definiti dai regolamenti europei – e cioè la terminologia di un ambito specialistico.
Parole vs termini
È una differenza che rimanda alla convenzione di distinguere tra parole e termini: una stessa “etichetta” (segno linguistico) può essere associata a significati e usi diversi e identificare uno o più concetti ampi e generici se usata come parola del lessico comune, e un concetto più ristretto e molto specifico se invece è usata come termine di un linguaggio settoriale.
Un esempio tipico alimentare è marmellata, che nel lessico comune è qualsiasi conserva di frutta e zucchero ma nell’ambito specialistico della classificazione merceologica dell’Unione europea identifica un concetto molto più ristretto: è la denominazione di uno specifico tipo di prodotto a base agrumi. Si tratta di una particolarità terminologica dovuta ad esigenze legislative riconducibili al mercato britannico pre-Brexit e di conseguenza alla necessità di risolvere asimmetrie tra sistemi concettuali in lingue e culture diverse.
Céline Imart, la deputata francese promotrice dell’emendamento, avrebbe dichiarato che la sua intenzione non è vietare prodotti a base vegetale ma “garantire che i termini come burger vengano usati con il loro reale significato”, per la salvaguardia dei consumatori. È però un’affermazione malinformata che mi fa dubitare che prima di presentare l’emendamento sia stata fatta un’analisi del suo potenziale impatto in lingue diverse dalla propria, tra cui l’italiano.
Classificazioni arbitrarie?
Per approfondire ho consultato il testo italiano dell’emendamento. Propone di aggiungere una parte denominata Carne, prodotti a base di carne e preparazioni a base di carne al Regolamento 1308/2013 (mercati dei prodotti agricoli). I primi tre punti dell’emendamento contengono altrettante definizioni che riprendono quelle già esistenti da decenni in regolamenti europei e italiani:
carne: le parti commestibili degli animali di cui ai punti da 1.2 a 1.8 dell’allegato I del regolamento (CE) n. 853/2004, ivi compreso il sangue
preparazioni a base di carne: la carne fresca, compresa quella ridotta in frammenti, che ha subito l’aggiunta di prodotti alimentari, condimenti o additivi oppure che ha subito trattamenti che non alterano in misura tale la struttura delle fibre muscolari interne da farle perdere le caratteristiche della carne fresca
prodotti a base di carne: i prodotti trasformati derivanti dalla trasformazione della carne o dall’ulteriore trasformazione di tali prodotti trasformati, in modo tale che la superficie di taglio mostri che il prodotto non presenta più le caratteristiche della carne fresca
Non ho alcuna conoscenza in materia e oltretutto non mangio carne, e ammetto che senza definizioni non sarei mai stata in grado di indicare che il livello di alterazione della struttura delle fibre muscolari della carne è la caratteristica distintiva che differenzia i concetti rappresentati dai termini preparazione e prodotto a base di carne.
In mancanza di ulteriori informazioni, la distinzione poco trasparente tra preparazione e prodotto appare come un esempio di arbitrarietà denominativa, forse inizialmente condizionato da concettualizzazioni e scelte terminologiche in altre lingue. Nell’emendamento risulta quindi poco intuitiva la classificazione degli esempi che segue le definizioni:
Le denominazioni di cui all’articolo 17 del regolamento (UE) n. 1169/2011 attualmente utilizzate per designare prodotti a base di carne e preparazioni a base di carne sono riservate esclusivamente ai prodotti contenenti carne.
Tali denominazioni includono, ad esempio:
– bistecche
– scaloppine
– salsicce
– burger
– hamburger
– tuorli d’uovo
– albumi d’uovo
Quali di questi esempi sono prodotti e quali preparazioni? Come vanno interpretati tuorli e albumi d’uovo in un contesto di carne? L’art. 17 citato, Denominazione dell’alimento, non include nessuno di questi esempi ma dà indicazioni generali.
Ho qualche perplessità anche sul punto 4:
I prodotti a base di pollame e i tagli di pollame quali definiti nel regolamento (UE) n. 543/2008, recante modalità di applicazione del regolamento (UE) n. 1234/2007 del Consiglio per quanto riguarda le norme di commercializzazione per le carni di pollame, sono riservati esclusivamente alle parti commestibili degli animali e ai prodotti contenenti carni di pollame.
La definizione di carne citata sopra rimanda al regolamento 853/2004 che identifica 7 categorie di animali commestibili, tra cui “1.3. pollame (carni di volatili d’allevamento…)”. Se da decenni pollame rappresenta un concetto subordinato di carne, qual è la necessità di dedicargli un punto apposito nell’emendamento? Ipotizzo che possa essere un chiarimento necessario in lingue in cui sussistono ambiguità, come accennato in Carne o pollo?
L’emendamento si conclude con il punto 5:
Le denominazioni di cui sopra non possono essere utilizzate per alcun prodotto diverso da quelli a cui si riferiscono ed escludono i prodotti derivati da coltura cellulare.
La formulazione è poco chiara ma il testo inglese (the above-mentioned names shall not be used for any product other than the products referred to) mi fa pensare che significhi che ciascun nome di alimento, ossia ciascun esempio menzionato, va usato in modo univoco.
C’è però un problema: in ambito Ue non si trova nessuna definizione per bistecca, scaloppina, burger, salsiccia ecc., né in testi legislativi, né nel database terminologico IATE, né in siti istituzionali italiani. Per ora non c’è modo di sapere se in ambito europeo i nomi citati siano stati effettivamente associati in modo univoco a specifici prodotti, e/o se stiano subendo un processo di terminologizzazione.
In mancanza di altri riferimenti ho consultato i principali dizionari d’uso dell’italiano per la parola più citata dai media, burger, e in tutti vengono registrate due accezioni:
1 forma abbreviata di hamburger
2 polpetta schiacciata / medaglione a base di ingredienti di origine ittica o vegetale (burger di branzino, b. di tonno, b. di soia, b. di seitan, b. di ceci…).
A questo punto sarebbe interessante interpellare Céline Imart e in base alle sue dichiarazioni chiederle come descriverebbe l’accezione 2 di burger del lessico comune italiano usato dai consumatori italiani. Affermerebbe davvero che non è “reale significato”?
A Imart bisognerebbe anche chiedere se il divieto vale solo per gli esempi inclusi nell’emendamento (vedi punto 5) o anche per altri nomi non nell’elenco, come ad es. carpaccio, cotoletta, stufato, spezzatino in italiano e altri in altre lingue, e nel caso chi deciderà, con quali criteri, qual è il loro “reale significato”.
In conclusione, l’emendamento mi pare formulato inadeguatamente, è incongruente e linguisticamente male informato, ed è poco utile per il consumatore. Peccato che nei media questi aspetti non siano stati rilevati.
Nuovo post: Rianalisi: da hamburger a burger, con i “reali significati” in inglese.
Aggiungo anche una ricerca con Google Ngram Viewer che mostra quali sono le dieci collocazioni più frequenti di burger di <x> in un corpus di libri in italiano:
Le informazioni ottenute da Ngram Viewer sono solo indicative, però si può osservare la prevalenza dei burger vegetali (accezione 2). Per dati affidabili servirebbero fonti e ricerche più precise, ad es. si dovrebbe valutare l’uso di burger senza specificazione per un confronto tra accezioni 1 (manzo) e 2 in diversi contesti d’uso. Dal grafico appare comunque significativo che ci siano contesti in cui, a quanto pare, è necessario specificare di carne.
Sono convinta che ricerche più rigorose in corpora costruiti appositamente confermerebbero in ogni caso l’insostenibilità della tesi che nell’uso comune italiano il “reale significato” di burger implica “solo carne”.
Alcuni post con altre differenze tra parole e termini e altra terminologia nelle classificazioni merceologiche alimentari:
- Carne o pollo? (stessa “etichetta” carne per concetti diversi, anche nella stessa lingua)
- Muscoli contro cozze! (un esempio di lessico comune vs specialistico che ha fatto intervenire la Guardia di finanza)
- I diversi sapori della marmellata (nell’uso quotidiano un’unica parola, per il legislatore invece si distingue tra confettura, confettura extra, marmellata, marmellata gelatina…)
- “Italian Sounding” e Parmesan vs Parmigiano (parole vs denominazioni d’origine, con una nota su “falsa definizione”)
- Processo agli alimenti ultraprocessati (un calco poco ragionato e incongruenze terminologiche)
Vedi anche: Da vegetariano a veg (2015)
