Non più scatolette ma “pochet boul”

Ho sentito la pubblicità televisiva di un noto marchio di conserve alimentari senza però vedere le immagini, e mi ha colpita la frase finale perché non ero del tutto sicura di averla capita correttamente:

Fotogramma da pubblicità televisiva, con immagine di una scodella con la scritta “Insalatissime” e fumetto di voce fuori campo che dice “un mare di ricette creative in una pòchet bòul”

Ho cercato la pubblicità, che è rivolta a consumatori giovani con stile di vita smart e cool (citazione!), e ho avuto la conferma che viene usato l’anglicismo pocket bowl, quindi ciotola o scodella tascabile.

Trovo singolare questa scelta denominativa perché in inglese ho visto invece usare il nome pocket bowl principalmente per ciotoline pieghevoli o comprimibili per cani, comode da portare con sé per dare da bere o mangiare al proprio animale quando si è in giro.

Immagini con esempi di “pocket bowl” per cani fatte di tessuto plastico ripiegabile

Immagino che i creativi non abbiano considerato l’accezione “canina” e potenzialmente indesiderata della locuzione pocket bowl. O forse l’hanno contemplata ma contano che sia poco nota ai consumatori italiani, che invece riconosceranno immediatamente l’aggettivo pocket, in uso da tempo nel senso di “tascabile, di piccole dimensioni” (e poco importa se i meno giovani non identificano anche bowl).

Si sa che il linguaggio della pubblicità ricorre spesso ad anglicismi, nella convinzione che conferiscano connotazioni moderne e cosmopolite e vengano percepiti come più precisi e più evocativi. Mi pare scontato che pocket bowl sia stato scelto perché appare più accattivante e pregevole della parola comune scatoletta

In questo caso però l’anglicismo potrebbe avere anche un’ulteriore funzione. Se si considera il target della pubblicità, ritengo probabile che pocket bowl voglia evocare il nome poke bowl, il piatto della cucina hawaiana da qualche anno molto diffuso anche nelle città italiane, in particolare tra i giovani: è un’insalata mista a base di pesce crudo a pezzi, riso, verdure, semi e altri ingredienti freschi che viene servita in una ciotola.

foto di poke bowl: ciotole con ingredienti vari molto colorati a piccoli pezzi (tonno, salmone, avocado, carote, edamame, cetrioli, riso, cereali, semi, frutta...)

L’associazione pocketpoke è facilitata dalla pronuncia adattata dei due anglicismi, che in italiano si differenziano solo per la consonante finale:
poke si dice “poche” /ˈpɔke/ 
pocket si dice “pochet” /ˈpɔket/

In inglese invece le due parole non hanno vocali in comune:
poke* è  /ˈpəʊkeɪ/ o /ˈpoʊ.keɪ/ (🔊
pocket è  /ˈpɒkɪt/ (🔊).

Se davvero il contenitore delle insalate in scatola è stato chiamato pocket bowl per evocare poke bowl e l’aspetto appetitoso dei suoi ingredienti freschi, direi che il nome si possa classificare come ennesimo esempio di inglese farlocco: un gioco di parole velato apparentemente inglese ma pensato da italiani per italiani.
 

marchio ISY-PILA proposito di inglese farlocco, un esempio legato allo stesso marchio è ISY-PIL, nome del sistema di apertura facilitata delle scatolette: assimilazione grafica di easy peel in isi pil e poi “reanglicizzazione” con i a fine parola sostituita da y, lettera che nella percezione comune è tipicamente inglese.  


* In inglese la parola hawaiana poke, “tagliare a pezzi”, viene scritta a volte anche poké o pokē. I segni grafici sulla lettera finale non indicano accento tonico (in poke l’accento cade sulla prima sillaba) ma sono segni diacritici che segnalano che la vocale e va pronunciata. Non sono necessari ma in alcuni contesti, come ad es. le voci di dizionario, possono essere utili per differenziare poke dalla parola omografa più frequente poke /pəʊk/ in cui invece la e finale è muta (come nella maggior parte delle parole del lessico comune inglese che terminano per –e). 

In italiano gli stessi segni diacritici sulla parola poke sono inutili e fuorvianti, eppure pokè o poké sono grafie ricorrenti in articoli e ricette (da cui poi la pronuncia erronea “pochè” anziché “pòche”).

Negli Stati Uniti i segni diacritici possono avere un’ulteriore funzione: vengono usati nei nomi di alcuni marchi per conferire “esoticità” ai prodotti, come descritto in GRÄNDE, formaggio heavy metal! 


Aggiornamento – Prima di pubblicare questo post avevo fatto alcune ricerche per verificare eventuali altri usi di pocket bowl in italiano e se ci fossero associazioni a poke (o confusione tra le due parole), e non ne avevo trovata nessuna. Inoltre, con la ricerca “pocket bowl” in Google fino a ieri non appariva alcuna AI Overview (il sunto prodotto con IA che viene proposto come primo risultato per alcune ricerche). A distanza di 16 ore invece sì, e con spiegazioni che mi fanno venire qualche sospetto che l’addestramento dell’IA generativa usata da Google abbia già “inglobato” anche questo post, rigurgitando informazioni grammaticalmente ineccepibili ma senza molto senso:

"Pocket bowl" si riferisce principalmente a due cose: una ciotola tascabile pieghevole, spesso utilizzata per viaggi o passeggiate, e il piatto hawaiano "poke bowl".  […]

In sintesi: "Pocket bowl" può riferirsi sia alla ciotola tascabile portatile che al piatto hawaiano. La prima è un oggetto, la seconda un piatto.

Ennesima dimostrazione che i chatbot non hanno la minima cognizione dei contenuti che generano ma si limitano ad assemblare una sequenza di parole statisticamente verosimile ma non necessariamente veritiera.

3 commenti su “Non più scatolette ma “pochet boul””

  1. John Dunn

    Non vorrei mettere uno di questi pocket bowl nella mia tasca.

    Io leggo ‘poke bowl’ come due parole monosillabiche, e siccome nell’ inglese della Scozia ‘poke’ = ‘bag’*, immagino una ciotola in un sacchetto.

    *Ma anche nell’espressione comune ‘to buy a pig in a poke’ (comprare qualcosa, non sapendo esattamente cosa sia).

  2. Licia

    @Marco, grazie per l’esempio che conferma che iin un contesto italiano la parola bowl non è di comprensione immediata se non la si vede anche in forma scritta.

    @John, grazie per i dettagli. Conoscevo buy a pig in a poke come equivalente di “comprare a scatola chiusa” ma non mi ero mai chiesta quale fosse l’origine, e ora l’ho imparata!

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